martedì 22 marzo 2011

Anche in Armenia si teme per il rischio nucleare

Centrali nucleari e rischi di catastrofe: ieri Chernobyl, oggi Fukushima…e domani? La risposta – piuttosto preoccupante – all’interrogativo potrebbe esser suggerita dal seguente articolo, estratto da greenreport.it.

Un’esposizione che fa meditare sui rischi inutili cui si espone troppo spesso l’uomo, vincolato nelle sue azioni da interessi economici e geo-politici che a volte, spesso, non collimano con le condizioni dell’ambiente, con le forze di madre natura. Che quando viene sfidata, reagisce. Spesso in maniera apocalittica.

Di seguito ecco alcuni estratti del post.


Nel Caucaso la tragedia nucleare di Fukushima ha riportato alla luce il fantasma nucleare dimenticato di Metsamor (Oktemberyan o Medzamor) e si intreccia con antiche e sanguinose rivalità etniche e geopolitiche che dividono una delle aree più sismiche del pianeta. […]


La prima e per ora unica centrale nucleare armena (400 MW ) è stata costruita nel 1976 a 30 km da Erevan, in una zona sismica. Progettata dai sovietici per restare in vita fino al 2001, dopo 10 anni dal termine della sua vita ufficiale, resterà in servizio fino al 2017 perché fornisce il 40% (i turchi e gli azeri dicono l'80%) dell'elettricità dell'Armenia. L'impianto è gestito dal 2003 dalla società russa Inter Rao Ues, come parte di un accordo per pagare il debito estero dell'Armenia. Anche un esperto di nucleare azero, Adil Garibov, attacca gli armeni e i russi : «La centrale costituisce una minaccia per tutta la regione ed i Paesi interessati devono chiederne la chiusura con una voce sola».


Nonostante i sentimenti antiarmeni è difficile dare torto a turchi ed azeri, anche per gli esperti. Metsamor, basata sulla tecnologia nucleare di prima generazione, situata in una zona sismicamente attivissima, rappresenta una grande minaccia per l'Armenia e i paesi vicini. Dopo il devastante terremoto che ha colpito l'Armenia nel 1988, che fece 50 mila morti, il governo sovietico di Erevan decise di chiudere Metsamor ma poi la crisi economica e la carenza di energia hanno costretto l'Armenia indipendente (e in guerra con l'Azerbaigian petrolifero) a riavviare la centrale 1993. Anche Hakob Sanasaryan, di Green union of Armenia, dice fin dal 2003 che Metsamor non rispetta i nuclear safety standards internazionali, visto che non ha un "guscio" di contenimento protettivo»


«Le esplosioni avvenute nelle centrali nucleari in Giappone, dovrebbero servire da lezione a tutti, e la comunità mondiale deve riflettere su quali conseguenze potrebbero derivare in Armenia da un terremoto di magnitudo di almeno 7 punti». Queste le parole di Sinan Oran, direttore del Centro turco per le relazioni internazionali e l'analisi strategica (Turksam) e presidente del Società della comunità turco-azera. «In Giappone – prosegue il responsabile di Ankara - una centrale nucleare viene costruita sulla base di tecnologia nucleare di terza generazione, mentre la centrale nucleare di Metsamor è stata costruita secondo la tecnologia nucleare di prima generazione, e questo aggiunge un particolare pericolo per la regione. Considerato il fatto che l'Armenia è uno Stato non democratico, la popolazione del Paese non può protestare contro il funzionamento di questo impianto».


Tűrksam dice di aver fatto delle ricerche nella regione di confine con l'Armenia, nelle province di Igdir, Kars e Ardahan e nel sud-est dell'Anatolia, che evidenziano la presenza di vaste aree di erba secca, malattie negli animali e negli uomini, una forte incidenza (in crescita) di cancro e di bambini malformati alla nascita o nati morti e di morti infantili. «Un incidente nella centrale di Metsamor avrebbe anche gravi conseguenze su chi vive in Azerbaijan, Iran, Nakhichevan, e Georgia, nonché sulla migrazione della popolazione che potrebbe essere un disastro per il popolo armeno».


La centrale di Metsamor potrebbe subire in ogni momento un terremoto come quello del 1988 che ne provocò la temporanea e prolungata chiusura. Con un terremoto di magnitudo 9 come quello del Giappone, la centrale di Metsamor, che sorge su una linea di faglia, verrebbe completamente rasa al suolo. I turchi, gli azeri e i georgiani temono una nuove e ancora più incontrollabile Chernobyl alle porte di casa. […] Nel 1999 l'Armenia e l'Ue firmarono un accordo per la chiusura entro il 2004 della centrale e che l'Armenia del 2001 al 2004 lavorò insieme al Consiglio d'Europa per chiudere l'impianto e che nel 2007 accettarono un accordo con Usa ed Ue per la chiusura della centrale. Il 29 novembre 2007 il governo armeno approvò un piano per chiudere la centrale nucleare, ma senza nessuna data specifica. Secondo il ministro dell'energia la chiusura potrebbe costare fino a 280 milioni di dollari. […]


Gli armeni dicono che non possono chiudere la centrale di Metsamor se non terminerà l'embargo energetico, se non arriverà in Armenia il gasdotto dall'Iran e se Azerbaigian e Turchia non apriranno i loro confini. I turchi definiscono questa posizione «Un elemento di ricatto con l'Armenia che su Metsamor presenta condizioni non hanno nulla a che fare con la centrale».


lunedì 24 gennaio 2011

L'aeroporto si colora di sangue, nuova strage dei terroristi a Mosca


Ancora una volta sono qui per raccontare un bollettino di morte. Questa volta, però, le proporzioni sono da vera e propria strage, in quella città, Mosca, che sembrava aver trovato pace dopo lo shock delle esplosioni kamikaze accadute in metropolitana, nel marzo dello scorso anno. Una calma invece solo apparente, interrotta in un giorno gelido di gennaio da un violento boato, che ha provocato non meno di 35 morti e 140 feriti. Un bilancio destinato, tuttavia, ad essere aggiornato.


I terroristi islamici – ceceni, forse del Daghestan, forse arabi, forse anche appoggiati dalla rete di Al Qaeda – hanno deciso di puntare dritto ad un altro punto vitale della capitale, l’aeroporto Domodedovo, il più trafficato tra gli scali dell’area, dunque bersaglio appetibile per i disegni assassini dei fanatici del Caucaso. Decisi a vendicare le torture, le morti e le sparizioni che quotidianamente, e nel più bieco silenzio, colpiscono i familiari, i cosiddetti “ribelli”. Così li catalogano le teste di cuoio russe, braccio armato di un governo che per reagire alle disobbedienze del volgo ha scelto la strada della repressione, abusando molte volte del proprio potere. Molte volte in sfregio, purtroppo, dei diritti umani fondamentali.

Ma c’è, forse, molto probabilmente, anche dell’altro. C’è una propaganda filo-islamista, un fondamentalismo che sospinto dai venti del Medio Oriente non fa fatica ad attecchire sulle menti di popolazioni povere, senza futuro, e avverse storicamente all’occupante russo.

L’estremismo religioso si mescola con le richieste indipendentiste, soffiato dalle autorità religiose che invitano a rinverdire i fasti dell’Emirato del Caucaso. Un ipotesi di ritorno al passato piuttosto velleitaria, sospinta da interpretazioni storiche discutibili e tendenziose. Un messaggio “revanchista” tuttavia sufficiente per raccogliere entusiasmi e reclutare centinaia di aspiranti suicidi, decisi a sacrificar la loro vita pur di liberare le genti di queste tumultuose montagne dall’invasore. La madre Russia, dal canto suo, non ha intenzione di mollare la presa: l’impressione è che dopo la strage le maglie del controllo si stringeranno ulteriormente, il che non farebbe che complicare gli equilibri nello scacchiere caucasico.

Cl.Ri.

mercoledì 12 gennaio 2011

Un cancro di nome fondamentalismo

NEWS FROM CAUCASUS: KABARDINO-BALKARIA


Ecco dove possono condurre i germi del fondamentalismo islamico, maschera e veicolo di rimostranze, tensioni e problemi che con la religione hanno poco a che fare. Soprattutto in una regione - il Caucaso - storicamente a maggioranza musulmana, ma storicamente anche propenso alla sua matrice laica.


FONTE: TMNEWS

Kabardino-Balkaria. Si tratta, assieme al Daghestan, di una delle due più pericolose repubbliche del Caucaso settentrionale, secondo quanto ha affermato a fine anno il ministro degli Interni russo Rashid Nurgaliev.

In particolare, in quest'area, la situazione sembra essere precipitata dopo l'uccisione a marzo 2010 di Anzor Astemirov, il principale ideologo dell'Emirato del Caucaso guidato da Dokka Umarov.


Da allora è stata un'esclation. I militanti islamici hanno colpito diversi "luoghi di perdizione" - come night club, locali di spogliarello e case di prostituzione - e diversi esponenti di alto profilo, tra cui il muftì Psikhachev e Tsipinov. Lo scopo: atterrire, terrorizzare la popolazione, dimostrare che l'amministrazione della repubblica, guidata dal presidente Arsen Kanokov non è in grado di tenere in mano la situazione.


Al di là della strategia, i fondamentalisti avevano anche specifici motivi di odio nei confronti dell'etnologo. Lo studioso era molto impegnato nel tentativo di far rivivere le tradizioni nazionali e il folklore circasso. In quest'opera, tuttavia, assegnava un ruolo assolutamente marginale all'Islam. Da qui l'accusa di "paganesimo" e la condanna da parte della corte della Sharia che, secondo Eurasia Daily Monitor, sarebbe alla base dell'uccisione dello studioso.

Cl.Ri

giovedì 6 gennaio 2011

Kavkaz Fight Club - Volume II

Bambini, giovani e adulti: uno contro l'altro, mossi da calci e pugni, colpi leciti e colpi bassi, violenza ai limiti della rabbia primordiale. Contro l'avversario, contro una vita difficile e senza vie d'uscita, contro un sistema corrotto e avvelenato. Forse anche un po' per noia. Il tutto mischiato alla tradizione guerriera degli avi, guerrieri delle montagne dallo spirito indomito, come le aquile e i lupi rappresentati sulle bandiere e gli slogan indipendentisti. Anche questo è il Caucaso, una terra dove lo scontro e la ferocia sono le regole del quotidiano.

Dopo il primo lancio sul blog, ecco una seconda clip estratta direttamente da Youtube. Ai lettori il commento.

Cl.Ri.

lunedì 3 gennaio 2011

Anche nel Caucaso bruciano le chiese cristiane

MOSCA, 3 GENNAIO - Una chiesa ortodossa e' stata incendiata la scorsa notte nella regione a maggioranza musulmana dell'Inguscezia, che confina con la Cecenia, nel nord del turbolento Caucaso russo. Non ci sono vittime. L'attentato e' stato compiuto nella cittadina di Ordzhonikidze, dove un razzo rpg e stato sparato contro il tetto della chiesa.



NUMERI PREOCCUPANTI...


Oltre 400 persone sono state vittime di aggressioni di matrice razzista in Russia nel 2010 e di queste 37 sono state uccise, riferisce ad Interfax il Centro Sova Diritti Umani. I numeri forniti da questa organizzazione che monitora i casi di xenofobia e razzismo confermano l'emergenza balzata alla ribalta delle cronache internazionali a metà dicembre, quando gruppi di ultranazionalisti hanno invaso la centralissima Piazza del Maneggio a Mosca e nella capitale è scoppiata un'ondata di disordini e attacchi su base etnica.


"Due persone sono state uccise e non meno di 68 sono rimaste ferite negli attacchi razzisti e neo-nazisti di dicembre", dettaglia una fonte del centro Sova, precisando che da Mosca le violenze si sono propagate poi in altre città, come Pietroburgo, Krasnodar, Nizhny Novgorod e Rostov-sul-Don. La capitale mantiene tuttavia il triste primato delle violenze su base etnica: 19 morti e 174 feriti nel 2010. Il bersaglio preferito dai gruppi radicali sono gli immigrati dall'Asia centrale e dal Caucaso, sottolinea l'organizzazione per i diritti fondamentali.



Cl.Ri.



giovedì 16 dicembre 2010

Preoccupante avanza l'odio tra le etnie

Violenza, tensione, esasperazione. Il mese di dicembre conferma il trend in vigore dall'inizio dell'anno, con un Caucaso afflitto dalle logiche del terrore, e un governo centrale che nonostante le rassicurazioni di facciata mostra evidenti difficoltà nello spegnere i focolai di resistenza. Le agenzie continuano a registrare omicidi e spedizioni punitive, scene di guerra civile, rappresaglie militari del Cremlino: ma non finisce qui, c'è infatti da considerare, sempre più forte, e sempre più preoccupante, l'elemento xenofobo. I caucasici musulmani e jihaidisti contro l'occupante russo, i russi contro gli immigrati di origine caucasica che "infestano" la capitale Mosca e le altre grandi città al di qua degli Urali.


Uno scenario preoccupante, dilagante, poco controllabile. Basti prendere in considerazione la reazione suscitata dai nazionalisti in risposta all'uccisione di un tifoso, russo, da parte di un caucasico. Scene e numeri da gueriglia urbana che non lasciano ben sperare, fanno solo temere un escalation negativa per il futuro. Una domanda sorge spontanea: tra quanti giorni dovremo registrare un nuovo, cruento episodio?

Di seguito ecco una rassegna dei principali lanci d'agenzia degli ultimi giorni.



16 DICEMBRE - ASIANEWS – Da quattro giorni Mosca vive un’escalation di violenza che vede protagonisti gli ultranazionalisti e xenofobi legati al tifo calcistico e gruppi organizzati di immigrati dal Caucaso. Ieri, in una maxiretata della polizia in occasione di una manifestazione annunciata dai tifosi, sono state arrestate circa 1300 persone, la maggior parte delle quali immigrati con cui gli estremisti avevano già iniziato a scontrarsi.

Il capo della polizia cittadina, Viktor Biryukov, ha fatto sapere che i suoi agenti hanno sequestrato coltelli, bastoni e altre armi da trauma. Intorno alla stazione di Kiev in cui si era radunata la manifestazione xenofoba e gli immigrati impegnati nella contro protesta, si sono concentrati oltre 3mila agenti in assetto antisommossa. “Caucasici a casa” e “La Russia per i russi” erano alcuni degli slogan esposti e urlati dai manifestanti.

A innescare la violenza è stata la morte di un tifoso dello Spartak, in una rissa con un caucasico, lo scorso 11 dicembre. Subito dopo l’uccisione del giovane tifoso sono iniziate a circolare in rete e sui media voci e segnalazioni per l’arrivo nella capitale di gruppi di caucasici pronti a rispondere alle provocazioni degli hooligan dello Spartak. Che a loro volta erano già scesi in strada urlando cori razzisti. La reazione dei “compagni” del ragazzo ucciso è stata infatti di stampo nazionalista, con una prima e violenta manifestazione sfociata nel fine settimana in una vera e propria guerriglia urbana sotto le mura del Cremlino e terminata con un bilancio di oltre 30 feriti e una settantina di “fermi”. Da allora Mosca vive praticamente uno stato di assedio, col centro chiuso e pattugliato da polizia in tenuta antisommossa, pronta a intervenire in caso di nuovi episodi.

L'allarme xenofobo ha registrato, il 13 dicembre, anche aggressioni da parte di bande di giovani nei confronti di immigrati caucasici e la morte, per accoltellamento, di un daghestano che era stato prima brutalmente picchiato.

Il livello di allerta ha portato alla mobilitazione anche gli esponenti della comunità religiose. Il capo del consiglio dei mufti Ravil Gainutdin ha messo in guardia sul rischio di una deriva “anti-caucasica e anti-islamica della società russa”. “La Russia non diventi un’arena di una strage tra le etnie”. E ha invitato “la gioventù, prima di tutte quella mussulmana, a non rispondere alle provocazioni. Non uscite da casa” è stato il suo appello.

Anche la Chiesa russo-ortodssa ha preso posizione sulla “situazione preoccupate” dei rapporti interetnici. Il capo del Dipartimento per i rapporti tra Chiesa e società del Patriarcato di Mosca, l’arciprete Vsevolod Chaplin, ha chiesto alle autorità di espatriare gli immigrati responsabili e alla popolazione locale ha chiesto di dialogare sulla base di comune regole di compritamento.



16 DICEMBRE – APCOM - Un commando di killer ha ucciso ieri sera a Nachik il muftì islamico della repubblica di Kabardino-Balkaria, Anas Pshikhachev. Un assassinio che gli inquirenti hanno immediatamente attribuito ad ambienti radicali islamici e che arriva sullo sfondo di tensioni senza precedenti, a Mosca, tra immigrati di origine caucasica e nazionalisti. Il leader religioso, a capo della Commissione islamica della repubblica russa nel Caucaso settentrionale, aveva espresso critiche nei confronti dell'Islam più radicale, ricordate oggi anche dal presidente russo Dmitri Medvedev. Lo scrive l'agenzia di stampa Interfax.

L'assassinio è avvenuto a Nalchik, il capoluogo della Balkaria, nella serata di ieri. Due uomini hanno chiesto al presidente della Commissione islamica di venire fuori dalla sua casa, secondo quanto ha riferito il Comitato investigativo, e hanno sparato almeno quattro colpi di pistola. Il religioso quarantasettenne è rimasto ferito, per poi morire a causa delle ferite riportate.

Il presidente russo Dmitri Medvedev ha definito il muftì "una prominente figura religiosa di autorità indubitabile che s'è apertamente opposta all'estremismo", secondo quanto ha riferito la portavoce del Cremlino Natalya Timakova. "Continueremo - ha aggiunto Medvedev - a sostenere i musulmani in Kabardino-Balkaria e io sono certo che gli assassini verranno puniti".



6 DICEMBRE - ANSA - Otto persone, tra cui un bambino di 9 anni, sono rimaste uccise in un'operazione anti terrorismo nella provincia del Daghestan, vicino a Chechnya. Lo rende noto un portavoce del ministero degli Interni della repubblica del Caucaso del nord. Nel blitz sono rimasti uccisi sei sospetti militanti islamici e uno dei poliziotti impegnati nell'operazione mentre il bambino e' stato colpito accidentalmente da una pallottola nel corso dello scontro a fuoco. Ferito anche un pompiere.


Cl. Ri.

Tensioni, contraddizioni, antichi retaggi, seguendo l'odore dorato del petrolio

Consigli per la lettura. Dal sito web "Il reporter" ecco la recensione di un volume che racconta secondo un'interessante prospettiva la realtà odierna, confusa e travagliata, della terra caucasica: si intitola SETA NERA, scritto da Rafael Dezcallar, edito da Fbe Edizioni.


Seta Nera non è solo un libro. E’ un viaggio fisico e mentale in una zona del pianeta remota, non tanto per una mera questione di distanza, ma per cultura, tradizione, storia.

Questa è la storia di un mondo, quello delle ex repubbliche sovietiche a cui, solo di recente, è stata concessa la libertà, la democrazia. Giovani Stati che, come bambini privi di guida, sono disorientati e cercano di recuperare il proprio senso di appartenenza, la propria individualità come nazione. Ancorati in mezzo a due mondi, quello del passato, ingombrante come l’Urss e quello del futuro incerto.

Lo scrittore, Rafael Dezcallar, viaggiatore, diplomatico, attraverso le sue parole ci mostra una realtà a lui ben nota ed è proprio grazie a tale conoscenza che ogni dettaglio, ogni sfumatura della narrazione è realistica, concreta.

Partendo dal Belgio, si giunge sino a Baku, in Azerbaigian, terra che serba nel proprio sottosuolo immense ricchezze petrolifere, scenario di lotte di potere politico, corrotto, malsano, nepotistico nascoste da una facciata, non troppo curata, di perbenismo che vuole mostrare un cambiamento rispetto al passato sovietico, ma che in realtà ne conserva, fin troppo, gli aspetti preponderanti.

Nulla è cambiato, i metodi repressivi del KGB, gli omicidi, lo spionaggio, la guerriglia civile interna, i dissapori con i paesi confinanti, le diatribe tra Stati asiatici dovute al possesso dei territori e, sullo sfondo gli interessi dell’Occidente a sfruttare le risorse della zona, l’oro nero, da sempre ambito dall’Europa e, soprattutto dagli Stati Uniti.

Un racconto avvincente, moderno, chiaro che appassiona per la scrittura semplice, efficace, per i suoi personaggi che danno forza e coerenza al libro. Juan, giovane ingegnere spagnolo, trasferito nel Caucaso per lavoro, viene catturato dalle atmosfere azere che calamitano ogni fibra del suo essere verso un popolo eterogeneo, composto da volti e colori diversi, generato da quel caleidoscopio di razze che era l’Urss.

La Cecenia, il Nagorno-Karabakh, encalve armena in Azerbaigian, Mosca, Baku, l’Armenia, il Kazakistan, l’intero Caucaso è nelle pagine di “Seta Nera”, tramite piccoli dettagli come la sua tipica cucina, la vodka, la descrizione dei luoghi e la complessità della sua geografia politica post-sovietica.

Questa è una storia di spionaggio internazionale, ma anche di viaggio, d’amore e di guerra fredda. E’ quasi come se ogni paese del Caucaso, non fosse solo l’ambientazione, ma un altro protagonista che racconta di sé, si presenta per confermare al lettore la propria esistenza.



Cl.Ri

martedì 2 novembre 2010

Tra i tropici e le vette innevate, ecco Sochi



Situata nella Russia meridionale, sulle coste del Mar Nero, sorge la città di Sochi, sconosciuta ai più se non fosse per il fatto che nel 2014 ospiterà la prossima edizione dei giochi olimpici invernali. In realtà questo esteso centro abitato di 330 mila anime, menzionato già nei documenti della Grecia Antica, ha molto altro da raccontare. Anzitutto è da sempre un centro di villeggiatura, in virtù del microclima piacevole di cui gode. La presenza del mare, la bassa latitudine, e la barriera offerta dalle montagne del Caucaso contro le correnti fredde del nord hanno determinato condizioni sub-tropicali, con inverni miti rispetto alla media del bacino - il Kraj di Krasnodar - in cui si colloca. Come ben illustra il video qui sopra, la vegetazione si presenta lussureggiante, con palme a profusione, piante mediterraneee, addirittura bananeti. Sembra di trovarsi a Miami, ma basta guardare poco più in alto per trovarsi di fronte vette che salgono fino a oltre 4mila metri, fitte foreste di conifere, impianti di risalita e stazioni sciistiche. Un contrasto decisamente singolare.

Le popolazioni Adighe-Circassi, gli originari abitanti di Sochi, la considerano come la loro capitale, usurpata da un governo russo ritenuto responsabile del genocidio che nella seconda metà dell'800 determinò il saccheggio della terra patria, portò morte (per 1 milione e mezzo di persone) e deportazioni. Oggi i discendenti di quelle famiglie, sparsi ai quattro angoli del mondo, chiedono giustizia, chiedono che Sochi venga restituita ai legittimi proprietari. Da qui la strenua opposizione all'organizzazione delle Olimpiadi, con manifestazioni in piazza e proteste. Episodi di tensione che potrebbero farsi anche più incisivi man mano che procederà l'avvicinamento all'evento.

Nonostante sia tra le più ricche località balneari sul Mar Nero, nonché la più ambita dei russi, la città pecca di strutture ricettive e servizi all'altezza della notorietà, e degli investimenti speculativi operati da parte di innumerevoli magnati di Mosca. Di contro, i turisti vengono trattati con il massimo riguardo, data la particolarità di un turismo occidentale di massa quasi assente, nonostante non manchino di certo i loghi di interesse.

Tra questi troviamo il caratteristico Sochi Water-Park, un bellissimo parco acquatico, il River Msympta, il fiume che attraversa la città, il Dendrary Botanical Garden, l'affascinante giardino botanico o le stupende cascate di Agura Falls. Per chi adora la neve c'è poi il centro sciistico di Krasnaya Polyana, dove è possibile fare sci, snowboard e heli-skiing oppure, per gli amanti della natura, è possibile godersi la tranquillità dell'imponente Riviera Park, il parco più grande della città.

Per rendere al meglio l'idea, spazio a un racconto di viaggio, tra i non molti per la verità che si possono trovare sul web. L'autore preferisco indicarlo come anonimo, diciamo che potrebbe essere un turista qualunque:

Le località di mare russe si contano sulle dita di una mano.
La principale, sul Mar Nero, si chiama Sochi, nella regione di Krasnodar, caratterizzata per il sorprendente clima sub-tropicale.
Non è ancora attrezzata per ospitare il turismo come lo concepiamo noi. Tant'è che i turisti italiani non sono tanti, vuoi per la questione del visto, vuoi per la difficoltà con la lingua, vuoi perchè prima di andare a Sochi, si preferisce puntare su altre località più "facili". E' un luogo di vacanza per russi e qualche turista tedesco o polacco.
Per il resto, le attrazioni sono bene o male quelle di tutte le località di mare, bar disco etc. sul lungo mare nella zona "zentre" oppure nel parco divertimenti "Riviera".
La spiaggia è di sassi; generalmente non si spende un rublo, tranne che se si vuole noleggiare un lettino. Il mar Nero tutto sommato non è malaccio. Il panorama e la natura sono molto belli, poichè a pochi km c'è la catena montuosa del Caucaso e Sochi, così, è al tempo stesso località balneare e località sciistica. La costa di Sochi è estesissima, arriva fino al confine con la Georgia (Gruzijà), più precisamente con la regione Abkhazia, nota per la guerra d'indipendenza dalla Georgia del 2008 patrocinata dalla Russia, ma non riconosciuta da nessun'altra nazione. Ma questa è un'altra storia.

Generalmente non è pericoloso, la polizia è sempre presente ed il retaggio proveniente dalla CCCP dell'ordine è ancora radicato, ma conviene non farsi notare troppo, soprattutto se non si conosce la lingua ed il loro modo di ragionare.

Cl.Ri.