martedì 21 settembre 2010

Chiuso il Ramadan, Mosca accende una luce di speranza


Segnalo un interessante articolo scovato nei meandri del web. Una testimonianza che va in controtendenza con gli episodi di violenza e intolleranza nel Caucaso. A Mosca i musulmani - di origine caucasica, tatara o extra-russa - hanno celebrato in maniera pacifica e silenziosa la chiusura del Ramadan, in un clima di rispetto totale da parte degli altri cittadini. Che possa considerarsi un segnale di speranza?



Fonte: http://www.lettera22.it/

Autore: Lucia Sgueglia


RAMADAN A MOSCA, UNA SORPRESA

MOSCA – 55mila schiene che si protendono al suolo all’unisono, in segno di preghiera e ringraziamento ad Allah, a mezzogiorno in punto, in pieno centro, tra il vecchio stadio Olimpico, il 5 stelle Renaissance e la Prospettiva della Pace, occupando ogni centimetro di strade e vicoli circostanti la moschea centrale, Zafar. Intorno la polizia blocca il traffico, ingorghi interminabili, tra truppe antisommossa, cani anti-esplosivo e metal detector, chiuso il metrò. Altro che Viale Jenner. Così appariva Mosca venerdi scorso per Eid al-Fitr, la festa che segna la fine del Ramadan, il termine del mese di digiuno. Una folla pia e pacifica, quasi tutti uomini: dal Caucaso russo, i venditori di frutta dell’Azerbaijan, i gasterbeiter dell’Asia Centrale ex sovietica, gli studenti stranieri di fede islamica iscritti in una delle università cittadine, i colletti bianchi tatari. È l’islam alla russa, versione odierna. Di solito discreto, silenzioso, invisibile. Ma d’improvviso i moscoviti han ricordato che la loro città ospita la più grande comunità musulmana d’Europa, una presenza abitualmente rimossa dall'identità cittadina: 2 milioni su 12 milioni di abitanti, 20 milioni in tutta la Federazione. Sempre più a corto di spazio.


E quella folla oggi a Mosca fa discutere e preoccupare: “Spaventoso” commenta una ragazza su Facebook, “Ma è davvero Mosca?”; “Moskvabad” ironizza un blogger ripreso dalla popolare radio Echo. E fa protestare: all’estrema periferia della capitale russa, quartiere operaio di Tekstilshchiki, Viale Volga: là dove oggi sorge l’unico parco della zona, c’è il progetto di costruire una nuova moschea. 4mila metri quadri, madrassa inclusa. Era ora: Mosca ne ha solo 4, di piccole dimensioni. Da anni il sindaco Luzhkov si rifiuta di accogliere le suppliche dei mufti. Che però all’indomani della strage del metro di Mosca a marzo, opera di due kamikaze che ha fatto 40 morti, hanno avvertito: i niet delle autorità rischiano di far proliferare luoghi di culto non ufficiali, e credo non ortodossi. A Tekstilishchki sabato son scesi in piazza in 700: preoccupati che il traffico già infernale peggiori, di non poter portare a spasso i propri cani, con una petizione hanno raccolto un migliaio di firme contro la moschea. Ricordano che la circoscrizione gli ha negato il permesso di costruire una chiesa ortodossa. Ma il Patriarcato ne progetta 509 nei prossimi anni a Mosca, nonostante quelle già esistenti restino spesso vuote durante la settimana. Bizzarro che ancora una volta a portare i russi in piazza non sia l’opposizione al governo, ma questioni "di quartiere". Tra l'altro, accanto alla moschea di Zafar durante il Ramadan era stato allestito un "tendone della fratellanza" per accogliere anche i moscoviti non musulmani e fargli conoscere le tradizioni della festa, ghiottonerie incluse, con l'appoggio del Comune: un'importante gesto di pr da parte dei mufti, tuttavia ignorato completamente dai media e dai cittadini.

Impreparati e sorpresi all’evento i moscoviti, non così le autorità, in allerta seria dagli attentati del metrò, e che oggi si ritrovano un Caucaso di nuovo ribollente. Mentre il ministro degli interni Nurgaliev ricorda che da gennaio i crimini legati al terrorismo in Russia sono stati 500. Ma Cremlino e Casa Bianca ci vanno cauti a soffiare sul fuoco delle tensioni interreligiose: la Russia è un paese multietnico e multireligioso per Costituzione, da secoli convive con l’islam, oggi seconda religione del paese per numero di devoti, le sue guide spirituali sono tradizionalmente leali al Potere, soprattutto in Tatarstan, la Kazan madre dei tatari, la seconda etnia del paese dopo i russo-slavi-ortodossi. Non a caso, venerdi il tandem Putin-Medvedev non ha dimenticato di rivolgere i propri auguri ufficiali alla comunità islamica russa per la festa.




Cl.Ri.

mercoledì 15 settembre 2010

Settembre di sangue, Caucaso sempre più violento

Un settembre sinora terribile, fatto di stragi, attentati, vittime soprattutto tra i civili. In due settimane le regioni caucasiche di Ossezia, Inguscezia e Daghestan hanno registrato almeno 50 morti e 200 feriti. Un bilancio di guerra, un'escalation di violenze sempre più forte e inarrestabile.


Sembra chiaro che il controllo sta sfuggendo di mano al governo russo, ma, quel che forse è più grave, il dolore per la scomparsa dei cari alimenta il fuoco dell'odio - storicamente mai estinto - tra le varie etnie che popolano la regione. Emblematica la reazione degli osseti nei confronti degli ingusci, considerati responsabili per l'autobomba lanciata e fatta esplodere nel mercato di Vladikavkaz.


Di seguito lascio spazio alle principali notizie d'agenzia.

14 Sett. (L'Occidentale) - Rischio di conflitti etnici nel Caucaso del nord: dopo l'attentato kamikaze del 9 settembre scorso in un mercato di Vladikavkaz, capitale dell'Ossezia del nord (17 vittime e quasi 200 feriti), alcune centinaia di abitanti locali hanno tentato di vendicarsi marciando dapprima in città al grido di "Avanti Ossezia" e poi contro il villaggio inguscio Kartsà: la pista dell'attentato, infatti, porta all'Inguscezia. Per bloccare la folla, come racconta oggi il quotidiano Kommersant, sono intervenuti in massa polizia, militari e agenti antisommossa (Omon).
Il villaggio era già stato oggetto di attacchi dopo un analogo attentato allo stesso mercato nell'aprile del 2002 (una decina di morti). Stessa reazione dopo la tragedia della scuola di Beslan nel settembre del 2004, ma in quell'occasione le forze dell'ordine bloccarono i manifestanti. Ossezia e Inguscezia, la prima a maggioranza ortodossa, la seconda musulmana, sono in conflitto da lungo tempo. Piu' di 300 persone hanno inoltre protestato contro il fallimento delle autorita' nel prevenire l'attacco, chiedendo un incontro con Taimuraz Mamsurov, il leader dell'Ossezia del Nord.


14 Sett. (Apcom-Nuova Europa) - Un attentato è stato oggi portato a termine in Inguscezia, una delle instabili repubbliche del Caucaso russo, nei confronti di Khamzat Chumakov, un imam considerato nemico del fondamentalismo islamico. Secondo quanto riferisce l'agenzia di stampa Interfax, il religioso è stato portato in ospedale in gravi condizioni. "Alle 8.40 circa ora di Mosca (6.40 in Italia) un'esplosione è avvenuta sotto l'auto VAZ-2107 dell'imam, nel quartiere di Ekazhevo a Nazran. E' stato trasportato in un locale ospedali in gravi condizioni", ha riferito una fonte del ministero degli Interni inguscio a Interfax. Chumakov guida la moschea del quartiere Nasyr-Kort di Nazran ed è noto per le sue dure critiche nei confronti dei militanti islamici, dei loro complici e dei seguaci delle forme radicali di Islam.
Nel frattempo, in una zona boschiva della Cecenia, due presunti militanti islamici sono stati uccisi dalle forze speciali.


13 Sett. (Ap-Apcom-Nuova Europa) - Continua a scorrere il sangue nel Caucaso russo. Il ministro degli Interni di Mosca ha annunciato che tre presunti militanti islamici, due poliziotti e un amministratore regionale sono stati uccisi stamane in una sparatoria in Daghestan. Gli scontri avvenuti questa mattina vengono dopo che nel weekend almeno 10 militanti islamici sono morti in scontri con le forze di sicurezza e di polizia, secondo quanto riporta l'agenzia di stampa Interfax. Inoltre, ieri, in un raid i militanti islamici sono riusciti a uccidere nella capitale provinciale Makhachakala un ufficiale delle forze di polizia, il tenente colonnello Gapal Gadzhiev. Vyacheslav Gasanov, portavoce dell'ufficio regionale del ministero degli Interni, ha spiegato che oggi nel villaggio di Komsomolskoye, al confine con la Cecenia, è stata circondato un covo di militanti , che hanno rifiutato di arrendersi e hanno ucciso un amministratore del villaggio che cercava di convincerli a lasciare le armi.














11 Sett. (Apcom-Nuova Europa) – Una granata a bordo di un’auto ministeriale in una zona residenziale di Vladikavkaz, nel Caucaso russo, e’ esplosa oggi. Nessuna vittima ma ancora molta paura dopo il sanguinoso attentato di giovedi’, che ha visto la morte di 17 persone sempre in Ossezia del Nord, in un mercato. “Non e’ un atto terroristico”, fanno sapere dal ministero dell’Interno della piccola repubblica federata. Il canale statale Vesti riporta tale dichiarazione lasciando tuttavia l’ombra del dubbio. La granata potrebbe essere esplosa forse a causa di un trattamento negligente, si specifica. Il proprietario della vettura fa infatti parte delle forze di sicurezza che dipendono dal Ministero dell’Interno.
Dura la replica del presidente russo Dimitri Medvedev: "Elimineremo queste canaglie, senza troppe formalità".


9 Sett. (Apcom-Nuova Europa) - Ammonta a 18 il bilancio delle vittime dell'attentato suicida avvenuto stamani in pressi del mercato di Vladikavkaz, in Ossezia del nord. Lo ha comunicato a Interfax un portavoce del ministero della Salute nord osseto. I feriti sono 123 di cui 90 in condizioni molti serie, mentre dieci lottano ancora contro la morte, secondo l'inviato presidenziale russo nel distretto federale del Caucaso del Nord Alexander Khloponin, che ha incontrato il ministro della Salute nord osseto Vladimir Selivanov. Khloponin, che ha visitato i feriti in ospedale, ha detto che la polizia sta già raccogliendo informazioni suoi possibili autori dell'attentato.

7 Sett. (Apcom-Nuova Europa)
- L'esplosione di una bomba ha fatto deragliare oggi un treno merci nella repubblica russa del Daghestan, nel Caucaso settentrionale. Secondo fonti investigative locali, diversi vagoni del treno merci sono deragliati. Domenica un kamikaze s'è fatto saltare in aria davanti a una caserma, uccidendo quattro persone e ferendone una trentina.

2 Sett. (Apcom-Nuova Europa) - Ancora violenze e morti nel Caucaso russo. In Daghestan è stato ucciso il capo di un dipartimento regionale dell'Fsb, i servizi segreti russi eredi del Kgb, il tenente colonnello Ahmed Abdulaev. Secondo le prime ricostruzioni l'esplosione è avvenuta quando l'agente si è seduto in macchina, vicino a casa, per andare al lavoro. Un vigile, Zalumhan Gadzhiyasulaev, ha sentito il rumore dell'esplosione e si è avvicinato: ha visto due persone sconosciute che tentavano di fuggire verso il bosco. Questi fuggendo gli hanno sparato, ferendolo. Nella vicina Inguscezia, degli aggressori hanno fatto irruzione nella casa di un poliziotto a Ordzhonikdzevskaya: hanno aperto il fuoco, uccidendolo e ferendo la moglie.

Cl.Ri.

lunedì 6 settembre 2010

Leva militare in Armenia: nonnismo, mazzette, morti sospette

Alcuni estratti dall'articolo "ARMENIA:MORIRE DI LEVA" pubblicato sul web lo scorso 20 agosto da Balcanicaucaso.org. Autore: Onnik Krikorian.


Continui incidenti sulla linea del cessate il fuoco tra armeni e azeri in Nagorno Karabakh fanno crescere la tensione nella regione. Nel frattempo, l'opinione pubblica armena è scioccata da una serie di morti sospette nell'esercito.
Mentre il panico si trasformava in rabbia, a seguito dell'ultimo scontro sulla linea di contatto tra forze armene e azere in Nagorno Karabakh, altre uccisioni di soldati armeni - rese note nel mese di luglio - hanno sconvolto il Paese. Questa volta, però, non si trattava di vittime delle forze azere, ma apparentemente di soldati uccisi dai loro stessi compatrioti.

Il primo incidente, che ha portato alla morte di un ufficiale in un avamposto al confine tra Armenia e Azerbaijan, è stato scioccante. Il ministero della Difesa ha dichiarato che il tenente Artak Nazaryan, militare di carriera trentenne, si era suicidato. La famiglia del soldato, tuttavia, ha respinto con forza questa versione. La causa della morte, dicono, sarebbe da ricercare all'interno dello stesso esercito armeno.

Secondo la famiglia, il corpo di Nazaryan era coperto di ferite, subite solo poche ore prima che il loro congiunto – secondo la versione ufficiale – si fosse sparato. “Credeva in Dio e sapeva che il suicidio è un grave peccato”, ha dichiarato la madre a Radio Free Europe. “Se si è trattato di un suicidio, immaginatevi quante sofferenze e umiliazioni gli sono state inferte prima di ricorrere a quel gesto”, ha aggiunto la sorella.

All'inizio di agosto, quattro commilitoni di Nazaryan sono stati arrestati e il ministero della Difesa ha avviato un'indagine. Secondo una dichiarazione ufficiale, uno dei quattro, il capitano Hakob Manukyan, è sospettato di aver inflitto ferite corporali e di aver umiliato Nazaryan “con gravi conseguenze”.

Mentre i familiari di Nazaryan hanno espresso dubbi sull'imparzialità dell'inchiesta condotta, in Nagorno Karabakh si è verificato un incidente ancora più drammatico e inatteso. Sei soldati sono morti a seguito di una folle sparatoria avvenuta sulla prima linea. Secondo Artur Sakunts, attivista per i diritti umani, il responsabile della sparatoria sarebbe un soldato armeno. Sakunts ha riferito che un ufficiale e un sergente avevano umiliato un giovane coscritto dopo averlo trovato addormentato nella sua postazione. Un'altra recluta, Karo Ayvazyan, ha allora sparato ai due ufficiali e a tre altri soldati che erano accorsi sul posto, prima di suicidarsi. L'incidente sarebbe avvenuto solo un giorno dopo la morte di Nazarayan.

Malgrado le condizioni di vita nell'esercito armeno siano migliorate dall'inizio degli anni '90, il nonnismo rimane un problema serio e le morti fuori dal combattimento rappresentano ancora una grave preoccupazione. Due anni fa il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha affermato di non credere nell'imparzialità delle inchieste condotte su tali incidenti, parlando di manomissione delle prove. Solo nel corso del 2009 sono 18 i soldati morti durante il servizio militare, per incidenti avvenuti fuori dai combattimenti.

Secondo i critici, gli ultimi incidenti hanno evidenziato problemi seri all'interno di un esercito afflitto dalla corruzione e da violazioni dei diritti umani. In effetti, le bustarelle per evitare l'arruolamento o per svolgere il servizio di leva in luoghi tranquilli sono una pratica piuttosto comune. I due eventi, in ogni caso, hanno causato un putiferio nel Paese, confermando inoltre la presenza di soldati armeni in Nagorno Karabakh, una circostanza negata da Yerevan ma nota alla maggior parte della popolazione. “Di solito i ricchi fanno il servizio militare in Armenia, mentre i poveri vengono mandati in Karabakh”, ha dichiarato Harutyunyan, soldato armeno fuggito in Azerbaijan.


Per leggere l'articolo intero, clicca qui.




Cl.Ri.

sabato 4 settembre 2010

Nagorno-Karabakh: "Giardino nero" terra di tutti e di nessuno


Il Nagorno-Karabakh – che significa ‘Giardino Nero di Montagna’ – è una piccola regione montana del Caucaso che, fin dall’antichità, è stata parte integrante dell’Armenia cristiana. La regione è abitata da tre etnie: gli azeri, gli armeni nei fondivalle e i curdi sulle montagne. Al crollo dell’impero zarista nel 1917, il Karabakh fu conteso dalle due neonate repubbliche indipendenti di Armenia e Azerbaigian. Quest’ultima, abitata da popolazione di lingua e religione musulmana, voleva il controllo del Karabakh per guadagnarsi un confine e una via d’accesso commerciale con la naturale alleata, la Turchia. Le pretese azere, seppur prive di ogni giustificazione storico-politica, vennero sostenute dalla Gran Bretagna in cambio dell’accesso ai pozzi petroliferi di Baku. Così, nel 1919, il cristiano e armeno Nagorno-Karabakh divenne parte della repubblica musulmana e turcofila d’Azerbaigian. Gli armeni vissero l’annessione come un’ingiustizia che riapriva la tragica ferita, ancora freschissima, del genocidio di un milione e mezzo di armeni da parte dei turchi. L’avvento del potere sovietico non mutò la situazione. Nel 1921 Stalin, per non inimicarsi i petrolieri azeri e gli amici turchi, confermò il Nagorno-Karabakh come parte della Repubblica Sovietica di Azerbaigian. Il regime di Baku avviò in Karabakh una strisciante politica di pulizia etnica verso gli armeni, costretti con la forza a mettere da parte ogni velleità indipendentista.


UNA TERRA CONTESA

Le cose cambiarono solo molti decenni dopo, quando la perestroika di Gorbaciov rianimò il nazionalismo armeno-karabakho. Il 20 febbraio 1988 il Soviet dei Deputati del Popolo del Karabakh votò la riunificazione della regione all’Armenia. Ne derivarono tensioni e scontri tra nazionalisti armeni e azeri in Nagorno-Karabakh, che il 24 febbraio provocarono la morte di due giovani azeri. Il giorno dopo a Sumgait, un sobborgo industriale di Baku, i nazionalisti azeri sostenuti dal governo reagirono con un violento pogrom anti-armeno che diede inizio a una spirale di violenze e che culminò, nell’aprile 1991, nell’Operazione ‘Anello’, sferrata dall’esercito azero per completare, con la violenza, l’opera di pulizia etnica del Karabakh. Il crollo dell’Urss fece precipitare la situazione: il 30 agosto 1991 l’Azerbaigian dichiarò l’indipendenza da Mosca e tre giorni dopo il Nagorno-Karabakh (sfruttando un articolo della Costituzione sovietica) fece altrettanto da Baku. Fu l’inizio della guerra tra Armenia e Azerbaigian. Nonostante l’aiuto dei turchi, degli iraniani, dei mujaheddin afgani e ceceni, gli azeri non riuscirono a tener testa alle motivate forze armene e karabakhe, sostenute e armate dalla nuova Russia, che infatti presero il controllo del Nagorno-Karabakh e dei territori azeri vicini, necessari a collegarlo con l’Armenia. Nel maggio 1994, dopo tre anni di guerra, oltre 30mila morti e circa un milione di profughi, venne raggiunto un cessate il fuoco, ma non una pace. Nonostante il Karabakh sia di fatto da 16 anni una repubblica indipendente, strettamente legata all’Armenia, il suo status non è riconosciuto dall’Azerbaigian, né dalla comunità internazionale e in particolare dagli Usa, che (come i britannici 90 anni fa) non vogliono mandare a monte gli accordi petroliferi con Baku.




Il complesso processo di pace riguardante Nagorno Karabakh è entrato in una nuova fase nel 2004, quando ha avuto inizio il “processo di Praga”; in quel caso, come anche in occasione della dichiarazione di Madrid del novembre 2007 o la dichiarazione di Mosca del novembre 2008, gli accordi sono stati sottoscritti da Armenia ed Azerbaigian, senza la partecipazione delle autorità dello stesso Nagorno Karabakh.


IL RITORNO DELL’OMBRA RUSSA

La difesa di Jerevan la garantirà Mosca. Tutto come previsto, dunque, e preannunciato negli scorsi giorni. Lo scorso 20 agosto, il presidente russo, Dmitrij Medvedev, e quello armeno, Serzh Sargsjan, hanno siglato un nuovo accordo militare che consente all'esercito russo la permanenza nel territorio del Paese caucasico fino al 2044. Tecnicamente, le parti hanno prolungato un precedente documento del 1995 che concedeva a Mosca il diritto di possesso, e di utilizzo, di alcune basi nell'Armenia occidentale. Ma, de facto, il Cremlino non solo ha garantito la presenza delle sue truppe per altri 34 anni, ma ha aumentato i poteri esercitabili nell'area, e modificato lo scopo della missione nell'area: garantire la sicurezza armena, e sorvegliarne i confini. Non a caso, l'esercito russo effettuerà esercitazioni costanti nella base di Gjurmi, a poca distanza dalla frontiera con la Turchia. Inoltre, Mosca dislocherà nell'area, in favore di Jerevan, armamenti all'avanguardia - intercettori di categoria C-300 e velivoli militari MiG-29 - e speciali tecniche militari. De facto, il nuovo accordo rafforza la presenza, armata, russa in uno scacchiere caldo e delicato, ove Paesi una volta parte dell'URSS, ma ora indipendenti, come Georgia ed Azerbajdzhan, sono visti da Mosca come pedine da mangiare per precisi scopi di natura geopolitica ed energetica. Infatti, nell'area dovrebbe transitare il Nabucco: gasdotto progettato da USA ed UE per trasportare oro blu di provenienza centroasiatica in Occidente, aggirando il territorio, e con esso la dipendenza economica, ed il conseguente ricatto politico, della Russia.

Le fonti ufficiali del Cremlino tendono a minimizzare la portata dell'accordo. Alla televisione armena, il ministro della difesa della Federazione Russa, Sergij Lavrov, ha dichiarato che nulla cambierà e che il ruolo dei soldati di Mosca sarà sempre il medesimo. Più esplicite, e chiare, le parole del presidente, Dmitrij Medvedev, al momento della firma dell'accordo: "il compito della Federazione Russa, in quanto principale Stato nell'area, è il rafforzamento della sicurezza e della crescita economica di quei Paesi bisognosi. La sicurezza di Jerevan - ha continuato - non è altro che la manifestazione della nostra volontà di mantenere pace ed ordine".

La calma di Lavrov, e la freddezza di Medvedev, contrastano con l'entusiasmo con cui, al contrario, Jerevan ha commentato l'accordo. Il presidente armeno, Serzh Sagsjan, ha salutato positivamente l'incremento della presenza russa nell'area, utile per la sicurezza del Paese da lui presieduto. Personalità governative hanno precisato che i russi potranno contribuire alla risoluzione della partita con il vicino Azerbajdzhan per il Nagorno-Karabakh: regione contesa militarmente nell'omonimo conflitto del 1987-1994, oggi repubblica autonoma non riconosciuta, ufficialmente azera, ma etnicamente a maggioranza armena.

A conferma di ciò, le dichiarazioni del rappresentante del Partito Repubblicano, Eduard Sharmanazov, entusiasta della rinnovata alleanza con Mosca in chiave anti-azera. "L'accordo esclude la possibilità da parte dell'Azerbajdzhan di riprendersi militarmente il Nagorno-Karabakh. I russi ci hanno promesso che si prenderanno cura della pacificazione dell'area".

Naturalmente differente la reazione azera, che ha accolto la notizia con estrema preoccupazione. Il ministero degli esteri di Baku si è appellato affinché Mosca rispetti gli impegni internazionali, e non utilizzi la base di Gjurmi contro l'Azerbajdzhan. In seguito, ha diffuso una nota con cui ha ricordato che Baku ha mantenuto sempre un atteggiamento costruttivo, volto alla risoluzione pacifica della questione. Senza l'impiego, né, tantomeno, la minaccia, dell'intervento bellico.

Maggiormente diretto il messaggio dell'ex consigliere del presidente azero, Vafa Gugulaza. "Da oggi il territorio armeno è territorio russo. E la Russia aumenta la sua presenza militare a Jerevan contro la NATO, contro gli USA e contro di noi [Azerbajdzhan, n.d.a.] Il tutto, in vista di un possibile conflitto armato con l'Iran, per avere le proprie forze armate già nell'area, dislocate in Armenia, nella russa Armenia. Meglio, nel territorio russo dell'Armenia. Non bisogna fidarsi delle parole di Lavrov e Medvedev. Il disegno è preciso".

Tuttavia, sono molti tra gli esperti ad evidenziare che, in realtà, il vero obiettivo dell'accordo, oltre alle ragioni geopolitiche già riportate, non sarebbe l'Azerbajdzhan, ma la Turchia. Come sottolineato dall'esperto di tattiche militari, Paul Felgengauer, il rinnovo della presenza dei soldati russi in Armenia non è motivato dal conflitto con Baku, ma è un messaggio chiaro e secco lanciato ad Ankara per scongiurarne ogni futuro possibile intervento nell'area, considerata appannaggio di Mosca.


Si calcolano in 700.000 gli azeri sfollati dalle zone di guerra, uno su nove, compresi i bambini che giocano in uno dei campi profughi della capitale che siamo andati a visitare, quello dove sono stati riuniti gli sfollati del distretto di Binagadi.
Questi bambini che giocano alla guerra con delle imitazioni giocattolo di fucili a pompa inquietanti nella loro accuratezza, sono anche loro profughi, sia pure da una terra che non hanno mai visto e che, forse, non vedranno mai. Avranno cinque o sei anni, e sono ospitati in un vecchio dormitorio per studenti universitari dell’era sovietica. Una serie di palazzi raccolti intorno a un cortile il cui cielo è ingombro di fili elettrici e panni stesi ad asciugare, mentre sotto, alcuni giovani giocano a backgammon, mentre gli anziani sorseggiano il te, sorvegliando svogliatamente della lana appena cardata. Il campo ricorda in chiave meno claustrofobica quello palestinese di Chatila, alla periferia di Beirut. Ma qui la provvisorietà appare più marcata.



ALCUNI DATI:

Superificie: 11.458 Km/q

Popolazione: ca. 140 mila ab.

Capitale : Stepanakert (in azero Khankendi)

Status de facto: Repubblica presidenziale autoproclamata

BANDIERA

E' stata adottata il 2 giugno 1992. . Evidente l'ispirazione alla bandiera dell'Armenia. Il motivo bianco, descritto come elemento decorativo tratto dai tappeti locali, allude più realisticamente alle divisione politica del paese da quella che è considerata la madrepatria.



FONTI:
La Stampa
Osservatorio Balcani e Caucaso
Peacereporter.net
Ventidipacecaucaso.it
Wikipedia



Cl. Ri