sabato 4 settembre 2010

Nagorno-Karabakh: "Giardino nero" terra di tutti e di nessuno


Il Nagorno-Karabakh – che significa ‘Giardino Nero di Montagna’ – è una piccola regione montana del Caucaso che, fin dall’antichità, è stata parte integrante dell’Armenia cristiana. La regione è abitata da tre etnie: gli azeri, gli armeni nei fondivalle e i curdi sulle montagne. Al crollo dell’impero zarista nel 1917, il Karabakh fu conteso dalle due neonate repubbliche indipendenti di Armenia e Azerbaigian. Quest’ultima, abitata da popolazione di lingua e religione musulmana, voleva il controllo del Karabakh per guadagnarsi un confine e una via d’accesso commerciale con la naturale alleata, la Turchia. Le pretese azere, seppur prive di ogni giustificazione storico-politica, vennero sostenute dalla Gran Bretagna in cambio dell’accesso ai pozzi petroliferi di Baku. Così, nel 1919, il cristiano e armeno Nagorno-Karabakh divenne parte della repubblica musulmana e turcofila d’Azerbaigian. Gli armeni vissero l’annessione come un’ingiustizia che riapriva la tragica ferita, ancora freschissima, del genocidio di un milione e mezzo di armeni da parte dei turchi. L’avvento del potere sovietico non mutò la situazione. Nel 1921 Stalin, per non inimicarsi i petrolieri azeri e gli amici turchi, confermò il Nagorno-Karabakh come parte della Repubblica Sovietica di Azerbaigian. Il regime di Baku avviò in Karabakh una strisciante politica di pulizia etnica verso gli armeni, costretti con la forza a mettere da parte ogni velleità indipendentista.


UNA TERRA CONTESA

Le cose cambiarono solo molti decenni dopo, quando la perestroika di Gorbaciov rianimò il nazionalismo armeno-karabakho. Il 20 febbraio 1988 il Soviet dei Deputati del Popolo del Karabakh votò la riunificazione della regione all’Armenia. Ne derivarono tensioni e scontri tra nazionalisti armeni e azeri in Nagorno-Karabakh, che il 24 febbraio provocarono la morte di due giovani azeri. Il giorno dopo a Sumgait, un sobborgo industriale di Baku, i nazionalisti azeri sostenuti dal governo reagirono con un violento pogrom anti-armeno che diede inizio a una spirale di violenze e che culminò, nell’aprile 1991, nell’Operazione ‘Anello’, sferrata dall’esercito azero per completare, con la violenza, l’opera di pulizia etnica del Karabakh. Il crollo dell’Urss fece precipitare la situazione: il 30 agosto 1991 l’Azerbaigian dichiarò l’indipendenza da Mosca e tre giorni dopo il Nagorno-Karabakh (sfruttando un articolo della Costituzione sovietica) fece altrettanto da Baku. Fu l’inizio della guerra tra Armenia e Azerbaigian. Nonostante l’aiuto dei turchi, degli iraniani, dei mujaheddin afgani e ceceni, gli azeri non riuscirono a tener testa alle motivate forze armene e karabakhe, sostenute e armate dalla nuova Russia, che infatti presero il controllo del Nagorno-Karabakh e dei territori azeri vicini, necessari a collegarlo con l’Armenia. Nel maggio 1994, dopo tre anni di guerra, oltre 30mila morti e circa un milione di profughi, venne raggiunto un cessate il fuoco, ma non una pace. Nonostante il Karabakh sia di fatto da 16 anni una repubblica indipendente, strettamente legata all’Armenia, il suo status non è riconosciuto dall’Azerbaigian, né dalla comunità internazionale e in particolare dagli Usa, che (come i britannici 90 anni fa) non vogliono mandare a monte gli accordi petroliferi con Baku.




Il complesso processo di pace riguardante Nagorno Karabakh è entrato in una nuova fase nel 2004, quando ha avuto inizio il “processo di Praga”; in quel caso, come anche in occasione della dichiarazione di Madrid del novembre 2007 o la dichiarazione di Mosca del novembre 2008, gli accordi sono stati sottoscritti da Armenia ed Azerbaigian, senza la partecipazione delle autorità dello stesso Nagorno Karabakh.


IL RITORNO DELL’OMBRA RUSSA

La difesa di Jerevan la garantirà Mosca. Tutto come previsto, dunque, e preannunciato negli scorsi giorni. Lo scorso 20 agosto, il presidente russo, Dmitrij Medvedev, e quello armeno, Serzh Sargsjan, hanno siglato un nuovo accordo militare che consente all'esercito russo la permanenza nel territorio del Paese caucasico fino al 2044. Tecnicamente, le parti hanno prolungato un precedente documento del 1995 che concedeva a Mosca il diritto di possesso, e di utilizzo, di alcune basi nell'Armenia occidentale. Ma, de facto, il Cremlino non solo ha garantito la presenza delle sue truppe per altri 34 anni, ma ha aumentato i poteri esercitabili nell'area, e modificato lo scopo della missione nell'area: garantire la sicurezza armena, e sorvegliarne i confini. Non a caso, l'esercito russo effettuerà esercitazioni costanti nella base di Gjurmi, a poca distanza dalla frontiera con la Turchia. Inoltre, Mosca dislocherà nell'area, in favore di Jerevan, armamenti all'avanguardia - intercettori di categoria C-300 e velivoli militari MiG-29 - e speciali tecniche militari. De facto, il nuovo accordo rafforza la presenza, armata, russa in uno scacchiere caldo e delicato, ove Paesi una volta parte dell'URSS, ma ora indipendenti, come Georgia ed Azerbajdzhan, sono visti da Mosca come pedine da mangiare per precisi scopi di natura geopolitica ed energetica. Infatti, nell'area dovrebbe transitare il Nabucco: gasdotto progettato da USA ed UE per trasportare oro blu di provenienza centroasiatica in Occidente, aggirando il territorio, e con esso la dipendenza economica, ed il conseguente ricatto politico, della Russia.

Le fonti ufficiali del Cremlino tendono a minimizzare la portata dell'accordo. Alla televisione armena, il ministro della difesa della Federazione Russa, Sergij Lavrov, ha dichiarato che nulla cambierà e che il ruolo dei soldati di Mosca sarà sempre il medesimo. Più esplicite, e chiare, le parole del presidente, Dmitrij Medvedev, al momento della firma dell'accordo: "il compito della Federazione Russa, in quanto principale Stato nell'area, è il rafforzamento della sicurezza e della crescita economica di quei Paesi bisognosi. La sicurezza di Jerevan - ha continuato - non è altro che la manifestazione della nostra volontà di mantenere pace ed ordine".

La calma di Lavrov, e la freddezza di Medvedev, contrastano con l'entusiasmo con cui, al contrario, Jerevan ha commentato l'accordo. Il presidente armeno, Serzh Sagsjan, ha salutato positivamente l'incremento della presenza russa nell'area, utile per la sicurezza del Paese da lui presieduto. Personalità governative hanno precisato che i russi potranno contribuire alla risoluzione della partita con il vicino Azerbajdzhan per il Nagorno-Karabakh: regione contesa militarmente nell'omonimo conflitto del 1987-1994, oggi repubblica autonoma non riconosciuta, ufficialmente azera, ma etnicamente a maggioranza armena.

A conferma di ciò, le dichiarazioni del rappresentante del Partito Repubblicano, Eduard Sharmanazov, entusiasta della rinnovata alleanza con Mosca in chiave anti-azera. "L'accordo esclude la possibilità da parte dell'Azerbajdzhan di riprendersi militarmente il Nagorno-Karabakh. I russi ci hanno promesso che si prenderanno cura della pacificazione dell'area".

Naturalmente differente la reazione azera, che ha accolto la notizia con estrema preoccupazione. Il ministero degli esteri di Baku si è appellato affinché Mosca rispetti gli impegni internazionali, e non utilizzi la base di Gjurmi contro l'Azerbajdzhan. In seguito, ha diffuso una nota con cui ha ricordato che Baku ha mantenuto sempre un atteggiamento costruttivo, volto alla risoluzione pacifica della questione. Senza l'impiego, né, tantomeno, la minaccia, dell'intervento bellico.

Maggiormente diretto il messaggio dell'ex consigliere del presidente azero, Vafa Gugulaza. "Da oggi il territorio armeno è territorio russo. E la Russia aumenta la sua presenza militare a Jerevan contro la NATO, contro gli USA e contro di noi [Azerbajdzhan, n.d.a.] Il tutto, in vista di un possibile conflitto armato con l'Iran, per avere le proprie forze armate già nell'area, dislocate in Armenia, nella russa Armenia. Meglio, nel territorio russo dell'Armenia. Non bisogna fidarsi delle parole di Lavrov e Medvedev. Il disegno è preciso".

Tuttavia, sono molti tra gli esperti ad evidenziare che, in realtà, il vero obiettivo dell'accordo, oltre alle ragioni geopolitiche già riportate, non sarebbe l'Azerbajdzhan, ma la Turchia. Come sottolineato dall'esperto di tattiche militari, Paul Felgengauer, il rinnovo della presenza dei soldati russi in Armenia non è motivato dal conflitto con Baku, ma è un messaggio chiaro e secco lanciato ad Ankara per scongiurarne ogni futuro possibile intervento nell'area, considerata appannaggio di Mosca.


Si calcolano in 700.000 gli azeri sfollati dalle zone di guerra, uno su nove, compresi i bambini che giocano in uno dei campi profughi della capitale che siamo andati a visitare, quello dove sono stati riuniti gli sfollati del distretto di Binagadi.
Questi bambini che giocano alla guerra con delle imitazioni giocattolo di fucili a pompa inquietanti nella loro accuratezza, sono anche loro profughi, sia pure da una terra che non hanno mai visto e che, forse, non vedranno mai. Avranno cinque o sei anni, e sono ospitati in un vecchio dormitorio per studenti universitari dell’era sovietica. Una serie di palazzi raccolti intorno a un cortile il cui cielo è ingombro di fili elettrici e panni stesi ad asciugare, mentre sotto, alcuni giovani giocano a backgammon, mentre gli anziani sorseggiano il te, sorvegliando svogliatamente della lana appena cardata. Il campo ricorda in chiave meno claustrofobica quello palestinese di Chatila, alla periferia di Beirut. Ma qui la provvisorietà appare più marcata.



ALCUNI DATI:

Superificie: 11.458 Km/q

Popolazione: ca. 140 mila ab.

Capitale : Stepanakert (in azero Khankendi)

Status de facto: Repubblica presidenziale autoproclamata

BANDIERA

E' stata adottata il 2 giugno 1992. . Evidente l'ispirazione alla bandiera dell'Armenia. Il motivo bianco, descritto come elemento decorativo tratto dai tappeti locali, allude più realisticamente alle divisione politica del paese da quella che è considerata la madrepatria.



FONTI:
La Stampa
Osservatorio Balcani e Caucaso
Peacereporter.net
Ventidipacecaucaso.it
Wikipedia



Cl. Ri

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