giovedì 16 dicembre 2010

Preoccupante avanza l'odio tra le etnie

Violenza, tensione, esasperazione. Il mese di dicembre conferma il trend in vigore dall'inizio dell'anno, con un Caucaso afflitto dalle logiche del terrore, e un governo centrale che nonostante le rassicurazioni di facciata mostra evidenti difficoltà nello spegnere i focolai di resistenza. Le agenzie continuano a registrare omicidi e spedizioni punitive, scene di guerra civile, rappresaglie militari del Cremlino: ma non finisce qui, c'è infatti da considerare, sempre più forte, e sempre più preoccupante, l'elemento xenofobo. I caucasici musulmani e jihaidisti contro l'occupante russo, i russi contro gli immigrati di origine caucasica che "infestano" la capitale Mosca e le altre grandi città al di qua degli Urali.


Uno scenario preoccupante, dilagante, poco controllabile. Basti prendere in considerazione la reazione suscitata dai nazionalisti in risposta all'uccisione di un tifoso, russo, da parte di un caucasico. Scene e numeri da gueriglia urbana che non lasciano ben sperare, fanno solo temere un escalation negativa per il futuro. Una domanda sorge spontanea: tra quanti giorni dovremo registrare un nuovo, cruento episodio?

Di seguito ecco una rassegna dei principali lanci d'agenzia degli ultimi giorni.



16 DICEMBRE - ASIANEWS – Da quattro giorni Mosca vive un’escalation di violenza che vede protagonisti gli ultranazionalisti e xenofobi legati al tifo calcistico e gruppi organizzati di immigrati dal Caucaso. Ieri, in una maxiretata della polizia in occasione di una manifestazione annunciata dai tifosi, sono state arrestate circa 1300 persone, la maggior parte delle quali immigrati con cui gli estremisti avevano già iniziato a scontrarsi.

Il capo della polizia cittadina, Viktor Biryukov, ha fatto sapere che i suoi agenti hanno sequestrato coltelli, bastoni e altre armi da trauma. Intorno alla stazione di Kiev in cui si era radunata la manifestazione xenofoba e gli immigrati impegnati nella contro protesta, si sono concentrati oltre 3mila agenti in assetto antisommossa. “Caucasici a casa” e “La Russia per i russi” erano alcuni degli slogan esposti e urlati dai manifestanti.

A innescare la violenza è stata la morte di un tifoso dello Spartak, in una rissa con un caucasico, lo scorso 11 dicembre. Subito dopo l’uccisione del giovane tifoso sono iniziate a circolare in rete e sui media voci e segnalazioni per l’arrivo nella capitale di gruppi di caucasici pronti a rispondere alle provocazioni degli hooligan dello Spartak. Che a loro volta erano già scesi in strada urlando cori razzisti. La reazione dei “compagni” del ragazzo ucciso è stata infatti di stampo nazionalista, con una prima e violenta manifestazione sfociata nel fine settimana in una vera e propria guerriglia urbana sotto le mura del Cremlino e terminata con un bilancio di oltre 30 feriti e una settantina di “fermi”. Da allora Mosca vive praticamente uno stato di assedio, col centro chiuso e pattugliato da polizia in tenuta antisommossa, pronta a intervenire in caso di nuovi episodi.

L'allarme xenofobo ha registrato, il 13 dicembre, anche aggressioni da parte di bande di giovani nei confronti di immigrati caucasici e la morte, per accoltellamento, di un daghestano che era stato prima brutalmente picchiato.

Il livello di allerta ha portato alla mobilitazione anche gli esponenti della comunità religiose. Il capo del consiglio dei mufti Ravil Gainutdin ha messo in guardia sul rischio di una deriva “anti-caucasica e anti-islamica della società russa”. “La Russia non diventi un’arena di una strage tra le etnie”. E ha invitato “la gioventù, prima di tutte quella mussulmana, a non rispondere alle provocazioni. Non uscite da casa” è stato il suo appello.

Anche la Chiesa russo-ortodssa ha preso posizione sulla “situazione preoccupate” dei rapporti interetnici. Il capo del Dipartimento per i rapporti tra Chiesa e società del Patriarcato di Mosca, l’arciprete Vsevolod Chaplin, ha chiesto alle autorità di espatriare gli immigrati responsabili e alla popolazione locale ha chiesto di dialogare sulla base di comune regole di compritamento.



16 DICEMBRE – APCOM - Un commando di killer ha ucciso ieri sera a Nachik il muftì islamico della repubblica di Kabardino-Balkaria, Anas Pshikhachev. Un assassinio che gli inquirenti hanno immediatamente attribuito ad ambienti radicali islamici e che arriva sullo sfondo di tensioni senza precedenti, a Mosca, tra immigrati di origine caucasica e nazionalisti. Il leader religioso, a capo della Commissione islamica della repubblica russa nel Caucaso settentrionale, aveva espresso critiche nei confronti dell'Islam più radicale, ricordate oggi anche dal presidente russo Dmitri Medvedev. Lo scrive l'agenzia di stampa Interfax.

L'assassinio è avvenuto a Nalchik, il capoluogo della Balkaria, nella serata di ieri. Due uomini hanno chiesto al presidente della Commissione islamica di venire fuori dalla sua casa, secondo quanto ha riferito il Comitato investigativo, e hanno sparato almeno quattro colpi di pistola. Il religioso quarantasettenne è rimasto ferito, per poi morire a causa delle ferite riportate.

Il presidente russo Dmitri Medvedev ha definito il muftì "una prominente figura religiosa di autorità indubitabile che s'è apertamente opposta all'estremismo", secondo quanto ha riferito la portavoce del Cremlino Natalya Timakova. "Continueremo - ha aggiunto Medvedev - a sostenere i musulmani in Kabardino-Balkaria e io sono certo che gli assassini verranno puniti".



6 DICEMBRE - ANSA - Otto persone, tra cui un bambino di 9 anni, sono rimaste uccise in un'operazione anti terrorismo nella provincia del Daghestan, vicino a Chechnya. Lo rende noto un portavoce del ministero degli Interni della repubblica del Caucaso del nord. Nel blitz sono rimasti uccisi sei sospetti militanti islamici e uno dei poliziotti impegnati nell'operazione mentre il bambino e' stato colpito accidentalmente da una pallottola nel corso dello scontro a fuoco. Ferito anche un pompiere.


Cl. Ri.

Tensioni, contraddizioni, antichi retaggi, seguendo l'odore dorato del petrolio

Consigli per la lettura. Dal sito web "Il reporter" ecco la recensione di un volume che racconta secondo un'interessante prospettiva la realtà odierna, confusa e travagliata, della terra caucasica: si intitola SETA NERA, scritto da Rafael Dezcallar, edito da Fbe Edizioni.


Seta Nera non è solo un libro. E’ un viaggio fisico e mentale in una zona del pianeta remota, non tanto per una mera questione di distanza, ma per cultura, tradizione, storia.

Questa è la storia di un mondo, quello delle ex repubbliche sovietiche a cui, solo di recente, è stata concessa la libertà, la democrazia. Giovani Stati che, come bambini privi di guida, sono disorientati e cercano di recuperare il proprio senso di appartenenza, la propria individualità come nazione. Ancorati in mezzo a due mondi, quello del passato, ingombrante come l’Urss e quello del futuro incerto.

Lo scrittore, Rafael Dezcallar, viaggiatore, diplomatico, attraverso le sue parole ci mostra una realtà a lui ben nota ed è proprio grazie a tale conoscenza che ogni dettaglio, ogni sfumatura della narrazione è realistica, concreta.

Partendo dal Belgio, si giunge sino a Baku, in Azerbaigian, terra che serba nel proprio sottosuolo immense ricchezze petrolifere, scenario di lotte di potere politico, corrotto, malsano, nepotistico nascoste da una facciata, non troppo curata, di perbenismo che vuole mostrare un cambiamento rispetto al passato sovietico, ma che in realtà ne conserva, fin troppo, gli aspetti preponderanti.

Nulla è cambiato, i metodi repressivi del KGB, gli omicidi, lo spionaggio, la guerriglia civile interna, i dissapori con i paesi confinanti, le diatribe tra Stati asiatici dovute al possesso dei territori e, sullo sfondo gli interessi dell’Occidente a sfruttare le risorse della zona, l’oro nero, da sempre ambito dall’Europa e, soprattutto dagli Stati Uniti.

Un racconto avvincente, moderno, chiaro che appassiona per la scrittura semplice, efficace, per i suoi personaggi che danno forza e coerenza al libro. Juan, giovane ingegnere spagnolo, trasferito nel Caucaso per lavoro, viene catturato dalle atmosfere azere che calamitano ogni fibra del suo essere verso un popolo eterogeneo, composto da volti e colori diversi, generato da quel caleidoscopio di razze che era l’Urss.

La Cecenia, il Nagorno-Karabakh, encalve armena in Azerbaigian, Mosca, Baku, l’Armenia, il Kazakistan, l’intero Caucaso è nelle pagine di “Seta Nera”, tramite piccoli dettagli come la sua tipica cucina, la vodka, la descrizione dei luoghi e la complessità della sua geografia politica post-sovietica.

Questa è una storia di spionaggio internazionale, ma anche di viaggio, d’amore e di guerra fredda. E’ quasi come se ogni paese del Caucaso, non fosse solo l’ambientazione, ma un altro protagonista che racconta di sé, si presenta per confermare al lettore la propria esistenza.



Cl.Ri

martedì 2 novembre 2010

Tra i tropici e le vette innevate, ecco Sochi



Situata nella Russia meridionale, sulle coste del Mar Nero, sorge la città di Sochi, sconosciuta ai più se non fosse per il fatto che nel 2014 ospiterà la prossima edizione dei giochi olimpici invernali. In realtà questo esteso centro abitato di 330 mila anime, menzionato già nei documenti della Grecia Antica, ha molto altro da raccontare. Anzitutto è da sempre un centro di villeggiatura, in virtù del microclima piacevole di cui gode. La presenza del mare, la bassa latitudine, e la barriera offerta dalle montagne del Caucaso contro le correnti fredde del nord hanno determinato condizioni sub-tropicali, con inverni miti rispetto alla media del bacino - il Kraj di Krasnodar - in cui si colloca. Come ben illustra il video qui sopra, la vegetazione si presenta lussureggiante, con palme a profusione, piante mediterraneee, addirittura bananeti. Sembra di trovarsi a Miami, ma basta guardare poco più in alto per trovarsi di fronte vette che salgono fino a oltre 4mila metri, fitte foreste di conifere, impianti di risalita e stazioni sciistiche. Un contrasto decisamente singolare.

Le popolazioni Adighe-Circassi, gli originari abitanti di Sochi, la considerano come la loro capitale, usurpata da un governo russo ritenuto responsabile del genocidio che nella seconda metà dell'800 determinò il saccheggio della terra patria, portò morte (per 1 milione e mezzo di persone) e deportazioni. Oggi i discendenti di quelle famiglie, sparsi ai quattro angoli del mondo, chiedono giustizia, chiedono che Sochi venga restituita ai legittimi proprietari. Da qui la strenua opposizione all'organizzazione delle Olimpiadi, con manifestazioni in piazza e proteste. Episodi di tensione che potrebbero farsi anche più incisivi man mano che procederà l'avvicinamento all'evento.

Nonostante sia tra le più ricche località balneari sul Mar Nero, nonché la più ambita dei russi, la città pecca di strutture ricettive e servizi all'altezza della notorietà, e degli investimenti speculativi operati da parte di innumerevoli magnati di Mosca. Di contro, i turisti vengono trattati con il massimo riguardo, data la particolarità di un turismo occidentale di massa quasi assente, nonostante non manchino di certo i loghi di interesse.

Tra questi troviamo il caratteristico Sochi Water-Park, un bellissimo parco acquatico, il River Msympta, il fiume che attraversa la città, il Dendrary Botanical Garden, l'affascinante giardino botanico o le stupende cascate di Agura Falls. Per chi adora la neve c'è poi il centro sciistico di Krasnaya Polyana, dove è possibile fare sci, snowboard e heli-skiing oppure, per gli amanti della natura, è possibile godersi la tranquillità dell'imponente Riviera Park, il parco più grande della città.

Per rendere al meglio l'idea, spazio a un racconto di viaggio, tra i non molti per la verità che si possono trovare sul web. L'autore preferisco indicarlo come anonimo, diciamo che potrebbe essere un turista qualunque:

Le località di mare russe si contano sulle dita di una mano.
La principale, sul Mar Nero, si chiama Sochi, nella regione di Krasnodar, caratterizzata per il sorprendente clima sub-tropicale.
Non è ancora attrezzata per ospitare il turismo come lo concepiamo noi. Tant'è che i turisti italiani non sono tanti, vuoi per la questione del visto, vuoi per la difficoltà con la lingua, vuoi perchè prima di andare a Sochi, si preferisce puntare su altre località più "facili". E' un luogo di vacanza per russi e qualche turista tedesco o polacco.
Per il resto, le attrazioni sono bene o male quelle di tutte le località di mare, bar disco etc. sul lungo mare nella zona "zentre" oppure nel parco divertimenti "Riviera".
La spiaggia è di sassi; generalmente non si spende un rublo, tranne che se si vuole noleggiare un lettino. Il mar Nero tutto sommato non è malaccio. Il panorama e la natura sono molto belli, poichè a pochi km c'è la catena montuosa del Caucaso e Sochi, così, è al tempo stesso località balneare e località sciistica. La costa di Sochi è estesissima, arriva fino al confine con la Georgia (Gruzijà), più precisamente con la regione Abkhazia, nota per la guerra d'indipendenza dalla Georgia del 2008 patrocinata dalla Russia, ma non riconosciuta da nessun'altra nazione. Ma questa è un'altra storia.

Generalmente non è pericoloso, la polizia è sempre presente ed il retaggio proveniente dalla CCCP dell'ordine è ancora radicato, ma conviene non farsi notare troppo, soprattutto se non si conosce la lingua ed il loro modo di ragionare.

Cl.Ri.




mercoledì 20 ottobre 2010

Scacco matto dei separatisti, violato il cuore istituzionale della Cecenia

Il germe della violenza e dell'instablità sta per tornare laddove, seppur con le armi, la distruzione, e la morte, sembrava che "madre" Russia fosse riuscita a ripristinare il controllo sul "figlio" ribelle. Ma le cose in Cecenia non stanno evidentemente così, lo dimostra l'episodio accaduto due giorni orsono a Grozny.

Ecco di nuovo comparire i separatisti, con un'azione che lascia solo cattivi presagi per il futuro. Il fatto che l'azione attentatrice sia accaduta all'interno di una sede istituzionale - ovvero in quel centro della direzione politica che dovrebbe risultare inattaccabile e inoppugnabile - suona come un fendente scagliato contro il cuore di un paziente malato, questa montuosa repubblica a maggioranza musulmana che Mosca ha storicamente faticato prima a sottomettere, poi a governare.

Dopo il Daghestan, dopo l'Inguscezia, dopo la Kabardino-Balkaria, anche la Cecenia del plenipotenziario Kadyrov si ascrive all'elenco delle aree tumultuose, agitate da una guerriglia anti-governativa prodotto di un malcontento dilagante, alimentato come un fuoco dal fondamentalismo islamico.


L'escalation di sangue e tensioni dimostra come la gestione, e le misure di controllo approntate dal Cremlino al momento non stanno producendo i risultati attesi.


Di seguito propongo un'interessante articolo, che presenta una cronaca dei fatti e propone un punto di vista su quanto accaduto nella città caucasica.


Fonte: Terra
Autore: Annalena Di Giovanni



"Dopo l’uccisione di due addetti alla sicurezza, alcuni attentatori si sono introdotti nella Camera a Grozny. Immediato l’intervento delle forze dell’ordine, così l’Aula ha svolto le sue normali attività.


Almeno sei morti, fra i quali forse due poliziotti, e quattro fra i miliziani, oltre ad almeno 17 feriti; è il bilancio dell’attentato di ieri a Grozny, in Cecenia, occorso alle otto di mattina nella sede del Parlamento ceceno, sgominato all’istante, giusto in tempo per convocare comunque la seduta per il voto sul bilancio. Un blitz, insomma, dai contorni quantomeno oscuri. A cominciare dalla dinamica e dal numero delle vittime, che le agenzie russe hanno continuato ad aggiornare e smentire fino a sera. Secondo la versione ufficiale, ieri, poco dopo l’alba un veicolo di kamikaze si sarebbe introdotto entro il perimetro del Parlamento. E fin qui, la versione certa.

Poi fonti non ufficiali parlano di due attentatori che si sono fatti esplodere, una presa di ostaggi, uno o due poliziotti morti nel tentativo di immobilizzare gli assaltatori. Secondo una testimonianza riportata dall’organo di controinformazione Radio Europa Libera, «il Parlamento è stato crivellato da colpi di mitragliatrice e lanciagranate. Poi la sicurezza ha cominciato a rispondere, innescando una vera e propria battaglia». Ma le forze pro-russe hanno subito minimizzato la minaccia, sottolineando la prontezza della risposta da parte delle forze governative armate da Mosca; e il presidente ceceno Ramazan Karyrov, protetto del Cremlino, ha subito chiamato il premier russo Vladimir Putin per compiacersi della disfatta dei guerriglieri. Insomma da un punto di vista di immagine si è risolto tutto in un successo per la Russia, che sulla Cecenia – tappa cruciale per il transito degli oleodotti dal Caspio - mantiene il pugno di ferro.

E casualmente proprio ieri mattina c’era Rashid Nurgaliev, il ministro degli Esteri russo, in visita a Grozny, che ha commentato con soddisfazione: «I guerriglieri hanno tentato di introdursi nel Parlamento. Il tentativo è fallito grazie all’intervento delle forze di sicurezza». Difficile capire se l’episodio di ieri segnerà l’inizio di una nuova fase del conflitto ceceno; se Kadyrov può contare sulla protezione russa per mantenere il controllo del territorio, è anche vero che le forze ribelli sembrano aver esteso la propria influenza oltre confine, destabilizzando anche Daghestan e Inguscezia.

Ad alimentare il malcontento c’è anche la brutalità delle forze di sicurezza russe e russo-cecene, brutalità resa nota grazie ai racconti della giornalista Anna Politkovskaya, uccisa nel 2006. Esiste poi una complessa rete di rapporti fra clan e diversi movimenti islamisti; una rete di cause ed effetti che il governo Kadyrov non ha certo risolto. E forse proprio a questo puntavano ieri gli attentatori del parlamento, a dimostrare all’ospite venuto da Mosca che la Cecenia, a venti anni dallo scoppio del conflitto, non è ancora domata. Ma per ora l’intento spettacolare dei miliziani si è risolto in un successo militare per il presidente Kadyrov".


Cl.Ri.

martedì 19 ottobre 2010

Consigli per la lettura, protagonista la Cecenia

MiddleLands oggi dà spazio a una proposta di lettura, direttamente dalla Libreria di Via Volta con sede a Erba, piccolo centro della Brianza comasca.


Il libro in questione si intitola Cecenia - Atto III, resoconto dei giorni trascorsi tra la repubblica caucasica e Mosca da Jonathan Littel, scrittore statunitense naturalizzato francese salito agli onori delle cronache con il fortunato Le benevole, originale affresco della Seconda Guerra Mondiale e in particolare del fronte orientale.

Edita da Einaudi, l'ultima fatica viene proposta a un prezzo di 18 euro.

Per visionare la scheda completa, clicca qui.


Grande piacere, e una certa sorpresa - non lo nascondo - ha suscitato la citazione tra le voci correlate di MiddleLands. Doveroso il ringraziamento a una persona in particolare, Giorgio Martini, uomo di cultura tra i più attivi della gioventù di Erba, Como e dintorni.


Cl.Ri.

martedì 5 ottobre 2010

Il sacrificio dell'Ossezia del Sud, nel nome degli equilibri internazionali


Il pesce piccolo conta sempre troppo poco, e finisce puntualmente per essere fagocitato dalle mire di chi detta le regole: poco importa se di mezzo ci va il sangue di persone innocenti, il presente e il futuro di famiglie che vengono private dell'opportunità di costruirsi una vita libera da tensioni, dolore e privazioni.

Questa è la vicenda che nell'ultimo ventennio ha vissuto l'Ossezia del Sud, piccola repubblica appartenente a quello che fu il Caucaso sovietico, oggi riconosciuta dalla Russia ma non dagli antichi padroni della Georgia, pronti a rivendicare il possesso di questa area montagnoso con le bombe, la morte e la distruzione. Il tutto nell'indifferenza, quasi con il beneplacito della comunità internazionale, interessata più alle questioni di ordine geopolitico che a tutto il resto.


Un punto di vista a mio giudizio interessante emerge dall'articolo di seguito proposto, a firma di Giulietto Chiesa, e pubblicato sulla rivista Le Voci delle Voci


Tzkhinval, cos’era?, o cos’è? Se uscite di casa e, una volta superate le asperità della pronuncia, chiedete ai primi dieci passanti se hanno un’idea a proposito di questa parola, nessuno saprà rispondere.

La risposta è: la capitale dell’Ossetia del Sud. Resta da chiarire dov’è e cos’è questo paese. Si trova sul versante sud del Caucaso ed era, fino a 20 anni fa, nei confini della Repubblica Socialista Sovietica di Georgia.

Il 20 settembre l’Ossetia del Sud ha celebrato i suoi 20 anni di indipendenza dalla Georgia. Ma c’è un problema: la Georgia non ha mai accettato la loro indipendenza e, in tutto il secolo XX, ha ripetutamente cercato di schiacciare gli osseti, sia cacciandoli da quella terra, sia assoggettandoli, sia - quando non gli è riuscita nè l’una nè l’altra cosa - sterminandoli.

Il perché è complicato da spiegare e da raccontare in poche righe, ma forse basta elencare alcune specificità.

La prima è che gli osseti non sono mai stati “georgiani”.

La seconda è che parlano una lingua che non ha nessuna parentela con il georgiano (ed è questa una discreta prova che provengono da un’altra storia, alla quale non vogliono rinunciare, avendone pieno diritto).


La terza è che sono stati divisi in due parti, gli osseti, da una storia crudele e più forte di loro: la parte più grande è rimasta dentro i confini della attuale Federazione Russa, è una repubblica autonoma, con capitale Vladikavkaz, e sta a nord della imponente catena montuosa del Caucaso. La parte più piccola è invece a sud del Caucaso, con una popolazione di circa 70 mila persone, esseri viventi all’incirca uguali a noi (anche se facciamo finta di non saperlo). Fino a che i due pezzi fecero parte di un unico Stato, l’Unione Sovietica, la divisione fu meno dolorosa e i piccoli “sudisti” si sentirono relativamente protetti dal Grande Fratello ortodosso. I guai riesplosero con la fine dell’Urss.
Chiesero, ma non ottennero, la autonomia da una Georgia che si dichiarava ora “democratica”, cioè non più socialista, ma che si proponeva ancora una volta di liquidarli. Subirono tre massacri, l’ultimo dei quali nella “guerra dei tre giorni” scatenata contro di loro la notte tra il 7 e l’8 agosto del 2008 dal “democratico” presidente della Georgia, con l’aiuto dell’allora presidente, anche lui molto democratico, dell’Ucraina.


La Russia di Medvedev e Putin, che molto democratici (secondo i nostri metri) non sono, intervenne in forze e, sconfitta la Georgia, riconobbe la Repubblica dell’Ossetia del Sud come sovrana e indipendente e mise la sue armata a presidio di un tale riconoscimento. Che, allo stato dei fatti elenca solo quattro paesi: Russia, Nicaragua, Venezuela, Nauru (chi vuole saperne di più vada a vedere dalle parti della Nuova Zelanda).

Ma non ha molta importanza, perchè nessuno è ora in condizione di cambiare il mazzo di carte.

Il problema è che Europa e Usa, e con loro tutto l’Occidente, non riconoscono l’esistenza dell’Ossetia del Sud, nè quella, parallela e contemporanea, dell’Abkhazia, altra regione che non ne vuole più sapere della Georgia. Entrambi pezzi non dell’ambizione russa, ma della stupidità sesquipedale dei leader georgiani. Perché?
Ufficialmente per il principio della intangibilità delle frontiere, sancito dalle Nazioni Unite. In realtà perché gli Usa vogliono includere la Georgia nella Nato, estendendo a sud l’accerchiamento della Russia, che perseguono dal momento della caduta dell’Urss.
L’Europa, come al solito, segue fedelmente. Gli altri, variamente ricattati, fanno altrettanto. Eppure c’è un altro principio che sarebbe utile non dimenticare, anche quando la Realpolitik impone di seguire il dettato dell’Impero: quello dell’autodeterminazione dei popoli.

Chi non ha la memoria troppo corta si ricorderà che fu proprio questo principio che venne invocato, pochi mesi prima della guerra contro l’Ossetia del Sud, da tutti i paesi occidentali che avevano una gran fretta di riconoscere la indipendenza del Kosovo dalla Serbia.

Ora a me pare - cosa che proposi ripetutamente mentre ero parlamentare europeo - che sarebbe sufficiente mandare una delegazione di parlamentari a Tzkhinval, e lasciarcela per una settimana, libera di gironzolare per il paese e di parlare con i passanti. Capirebbero in un baleno che nessuno, proprio nessuno, vuole tornare sotto il governo di Tbilisi. E chiunque al loro posto farebbe altrettanto, perché è difficile amare chi ti ammazza. Se questa visita fosse stata fatta prima, per esempio nella primavera del 2008, quasi mille civili di Tzkhinval, non meno di 400 soldati georgiani, circa 90 soldati russi, un numero imprecisato di giovani combattenti osseti, sarebbero ancora vivi.

Perché ho raccontato questa storia nin questa rubrica? Perché considero assai miserabile la “distrazione” europea, quella dei nostri media e dei nostri politici, di destra e di sinistra. Portano tutti una quota di responsabilità non solo per il massacro, ma anche per il protrarsi di una ingiustizia inaccettabile. Credono di essere realisti, in realtà sono cinici.

Non solo per Tzkhinval (che è solo apparentemente molto lontano da noi), ma per tutto ciò che concerne la nostra vita.
E ai movimenti che si battono per un mondo migliore in casa nostra vorrei chiedere: ma come potete sperare di ottenere qualche cosa, non importa in quale campo, se tollerate in silenzio che un piccolo popolo, per esempio, subisca la violenza del più forte?

Per visualizzare un'interessante galleria fotografica sulla guerra di Ossezia del 2008, clicca qui.

Cl.Ri.

martedì 21 settembre 2010

Chiuso il Ramadan, Mosca accende una luce di speranza


Segnalo un interessante articolo scovato nei meandri del web. Una testimonianza che va in controtendenza con gli episodi di violenza e intolleranza nel Caucaso. A Mosca i musulmani - di origine caucasica, tatara o extra-russa - hanno celebrato in maniera pacifica e silenziosa la chiusura del Ramadan, in un clima di rispetto totale da parte degli altri cittadini. Che possa considerarsi un segnale di speranza?



Fonte: http://www.lettera22.it/

Autore: Lucia Sgueglia


RAMADAN A MOSCA, UNA SORPRESA

MOSCA – 55mila schiene che si protendono al suolo all’unisono, in segno di preghiera e ringraziamento ad Allah, a mezzogiorno in punto, in pieno centro, tra il vecchio stadio Olimpico, il 5 stelle Renaissance e la Prospettiva della Pace, occupando ogni centimetro di strade e vicoli circostanti la moschea centrale, Zafar. Intorno la polizia blocca il traffico, ingorghi interminabili, tra truppe antisommossa, cani anti-esplosivo e metal detector, chiuso il metrò. Altro che Viale Jenner. Così appariva Mosca venerdi scorso per Eid al-Fitr, la festa che segna la fine del Ramadan, il termine del mese di digiuno. Una folla pia e pacifica, quasi tutti uomini: dal Caucaso russo, i venditori di frutta dell’Azerbaijan, i gasterbeiter dell’Asia Centrale ex sovietica, gli studenti stranieri di fede islamica iscritti in una delle università cittadine, i colletti bianchi tatari. È l’islam alla russa, versione odierna. Di solito discreto, silenzioso, invisibile. Ma d’improvviso i moscoviti han ricordato che la loro città ospita la più grande comunità musulmana d’Europa, una presenza abitualmente rimossa dall'identità cittadina: 2 milioni su 12 milioni di abitanti, 20 milioni in tutta la Federazione. Sempre più a corto di spazio.


E quella folla oggi a Mosca fa discutere e preoccupare: “Spaventoso” commenta una ragazza su Facebook, “Ma è davvero Mosca?”; “Moskvabad” ironizza un blogger ripreso dalla popolare radio Echo. E fa protestare: all’estrema periferia della capitale russa, quartiere operaio di Tekstilshchiki, Viale Volga: là dove oggi sorge l’unico parco della zona, c’è il progetto di costruire una nuova moschea. 4mila metri quadri, madrassa inclusa. Era ora: Mosca ne ha solo 4, di piccole dimensioni. Da anni il sindaco Luzhkov si rifiuta di accogliere le suppliche dei mufti. Che però all’indomani della strage del metro di Mosca a marzo, opera di due kamikaze che ha fatto 40 morti, hanno avvertito: i niet delle autorità rischiano di far proliferare luoghi di culto non ufficiali, e credo non ortodossi. A Tekstilishchki sabato son scesi in piazza in 700: preoccupati che il traffico già infernale peggiori, di non poter portare a spasso i propri cani, con una petizione hanno raccolto un migliaio di firme contro la moschea. Ricordano che la circoscrizione gli ha negato il permesso di costruire una chiesa ortodossa. Ma il Patriarcato ne progetta 509 nei prossimi anni a Mosca, nonostante quelle già esistenti restino spesso vuote durante la settimana. Bizzarro che ancora una volta a portare i russi in piazza non sia l’opposizione al governo, ma questioni "di quartiere". Tra l'altro, accanto alla moschea di Zafar durante il Ramadan era stato allestito un "tendone della fratellanza" per accogliere anche i moscoviti non musulmani e fargli conoscere le tradizioni della festa, ghiottonerie incluse, con l'appoggio del Comune: un'importante gesto di pr da parte dei mufti, tuttavia ignorato completamente dai media e dai cittadini.

Impreparati e sorpresi all’evento i moscoviti, non così le autorità, in allerta seria dagli attentati del metrò, e che oggi si ritrovano un Caucaso di nuovo ribollente. Mentre il ministro degli interni Nurgaliev ricorda che da gennaio i crimini legati al terrorismo in Russia sono stati 500. Ma Cremlino e Casa Bianca ci vanno cauti a soffiare sul fuoco delle tensioni interreligiose: la Russia è un paese multietnico e multireligioso per Costituzione, da secoli convive con l’islam, oggi seconda religione del paese per numero di devoti, le sue guide spirituali sono tradizionalmente leali al Potere, soprattutto in Tatarstan, la Kazan madre dei tatari, la seconda etnia del paese dopo i russo-slavi-ortodossi. Non a caso, venerdi il tandem Putin-Medvedev non ha dimenticato di rivolgere i propri auguri ufficiali alla comunità islamica russa per la festa.




Cl.Ri.

mercoledì 15 settembre 2010

Settembre di sangue, Caucaso sempre più violento

Un settembre sinora terribile, fatto di stragi, attentati, vittime soprattutto tra i civili. In due settimane le regioni caucasiche di Ossezia, Inguscezia e Daghestan hanno registrato almeno 50 morti e 200 feriti. Un bilancio di guerra, un'escalation di violenze sempre più forte e inarrestabile.


Sembra chiaro che il controllo sta sfuggendo di mano al governo russo, ma, quel che forse è più grave, il dolore per la scomparsa dei cari alimenta il fuoco dell'odio - storicamente mai estinto - tra le varie etnie che popolano la regione. Emblematica la reazione degli osseti nei confronti degli ingusci, considerati responsabili per l'autobomba lanciata e fatta esplodere nel mercato di Vladikavkaz.


Di seguito lascio spazio alle principali notizie d'agenzia.

14 Sett. (L'Occidentale) - Rischio di conflitti etnici nel Caucaso del nord: dopo l'attentato kamikaze del 9 settembre scorso in un mercato di Vladikavkaz, capitale dell'Ossezia del nord (17 vittime e quasi 200 feriti), alcune centinaia di abitanti locali hanno tentato di vendicarsi marciando dapprima in città al grido di "Avanti Ossezia" e poi contro il villaggio inguscio Kartsà: la pista dell'attentato, infatti, porta all'Inguscezia. Per bloccare la folla, come racconta oggi il quotidiano Kommersant, sono intervenuti in massa polizia, militari e agenti antisommossa (Omon).
Il villaggio era già stato oggetto di attacchi dopo un analogo attentato allo stesso mercato nell'aprile del 2002 (una decina di morti). Stessa reazione dopo la tragedia della scuola di Beslan nel settembre del 2004, ma in quell'occasione le forze dell'ordine bloccarono i manifestanti. Ossezia e Inguscezia, la prima a maggioranza ortodossa, la seconda musulmana, sono in conflitto da lungo tempo. Piu' di 300 persone hanno inoltre protestato contro il fallimento delle autorita' nel prevenire l'attacco, chiedendo un incontro con Taimuraz Mamsurov, il leader dell'Ossezia del Nord.


14 Sett. (Apcom-Nuova Europa) - Un attentato è stato oggi portato a termine in Inguscezia, una delle instabili repubbliche del Caucaso russo, nei confronti di Khamzat Chumakov, un imam considerato nemico del fondamentalismo islamico. Secondo quanto riferisce l'agenzia di stampa Interfax, il religioso è stato portato in ospedale in gravi condizioni. "Alle 8.40 circa ora di Mosca (6.40 in Italia) un'esplosione è avvenuta sotto l'auto VAZ-2107 dell'imam, nel quartiere di Ekazhevo a Nazran. E' stato trasportato in un locale ospedali in gravi condizioni", ha riferito una fonte del ministero degli Interni inguscio a Interfax. Chumakov guida la moschea del quartiere Nasyr-Kort di Nazran ed è noto per le sue dure critiche nei confronti dei militanti islamici, dei loro complici e dei seguaci delle forme radicali di Islam.
Nel frattempo, in una zona boschiva della Cecenia, due presunti militanti islamici sono stati uccisi dalle forze speciali.


13 Sett. (Ap-Apcom-Nuova Europa) - Continua a scorrere il sangue nel Caucaso russo. Il ministro degli Interni di Mosca ha annunciato che tre presunti militanti islamici, due poliziotti e un amministratore regionale sono stati uccisi stamane in una sparatoria in Daghestan. Gli scontri avvenuti questa mattina vengono dopo che nel weekend almeno 10 militanti islamici sono morti in scontri con le forze di sicurezza e di polizia, secondo quanto riporta l'agenzia di stampa Interfax. Inoltre, ieri, in un raid i militanti islamici sono riusciti a uccidere nella capitale provinciale Makhachakala un ufficiale delle forze di polizia, il tenente colonnello Gapal Gadzhiev. Vyacheslav Gasanov, portavoce dell'ufficio regionale del ministero degli Interni, ha spiegato che oggi nel villaggio di Komsomolskoye, al confine con la Cecenia, è stata circondato un covo di militanti , che hanno rifiutato di arrendersi e hanno ucciso un amministratore del villaggio che cercava di convincerli a lasciare le armi.














11 Sett. (Apcom-Nuova Europa) – Una granata a bordo di un’auto ministeriale in una zona residenziale di Vladikavkaz, nel Caucaso russo, e’ esplosa oggi. Nessuna vittima ma ancora molta paura dopo il sanguinoso attentato di giovedi’, che ha visto la morte di 17 persone sempre in Ossezia del Nord, in un mercato. “Non e’ un atto terroristico”, fanno sapere dal ministero dell’Interno della piccola repubblica federata. Il canale statale Vesti riporta tale dichiarazione lasciando tuttavia l’ombra del dubbio. La granata potrebbe essere esplosa forse a causa di un trattamento negligente, si specifica. Il proprietario della vettura fa infatti parte delle forze di sicurezza che dipendono dal Ministero dell’Interno.
Dura la replica del presidente russo Dimitri Medvedev: "Elimineremo queste canaglie, senza troppe formalità".


9 Sett. (Apcom-Nuova Europa) - Ammonta a 18 il bilancio delle vittime dell'attentato suicida avvenuto stamani in pressi del mercato di Vladikavkaz, in Ossezia del nord. Lo ha comunicato a Interfax un portavoce del ministero della Salute nord osseto. I feriti sono 123 di cui 90 in condizioni molti serie, mentre dieci lottano ancora contro la morte, secondo l'inviato presidenziale russo nel distretto federale del Caucaso del Nord Alexander Khloponin, che ha incontrato il ministro della Salute nord osseto Vladimir Selivanov. Khloponin, che ha visitato i feriti in ospedale, ha detto che la polizia sta già raccogliendo informazioni suoi possibili autori dell'attentato.

7 Sett. (Apcom-Nuova Europa)
- L'esplosione di una bomba ha fatto deragliare oggi un treno merci nella repubblica russa del Daghestan, nel Caucaso settentrionale. Secondo fonti investigative locali, diversi vagoni del treno merci sono deragliati. Domenica un kamikaze s'è fatto saltare in aria davanti a una caserma, uccidendo quattro persone e ferendone una trentina.

2 Sett. (Apcom-Nuova Europa) - Ancora violenze e morti nel Caucaso russo. In Daghestan è stato ucciso il capo di un dipartimento regionale dell'Fsb, i servizi segreti russi eredi del Kgb, il tenente colonnello Ahmed Abdulaev. Secondo le prime ricostruzioni l'esplosione è avvenuta quando l'agente si è seduto in macchina, vicino a casa, per andare al lavoro. Un vigile, Zalumhan Gadzhiyasulaev, ha sentito il rumore dell'esplosione e si è avvicinato: ha visto due persone sconosciute che tentavano di fuggire verso il bosco. Questi fuggendo gli hanno sparato, ferendolo. Nella vicina Inguscezia, degli aggressori hanno fatto irruzione nella casa di un poliziotto a Ordzhonikdzevskaya: hanno aperto il fuoco, uccidendolo e ferendo la moglie.

Cl.Ri.

lunedì 6 settembre 2010

Leva militare in Armenia: nonnismo, mazzette, morti sospette

Alcuni estratti dall'articolo "ARMENIA:MORIRE DI LEVA" pubblicato sul web lo scorso 20 agosto da Balcanicaucaso.org. Autore: Onnik Krikorian.


Continui incidenti sulla linea del cessate il fuoco tra armeni e azeri in Nagorno Karabakh fanno crescere la tensione nella regione. Nel frattempo, l'opinione pubblica armena è scioccata da una serie di morti sospette nell'esercito.
Mentre il panico si trasformava in rabbia, a seguito dell'ultimo scontro sulla linea di contatto tra forze armene e azere in Nagorno Karabakh, altre uccisioni di soldati armeni - rese note nel mese di luglio - hanno sconvolto il Paese. Questa volta, però, non si trattava di vittime delle forze azere, ma apparentemente di soldati uccisi dai loro stessi compatrioti.

Il primo incidente, che ha portato alla morte di un ufficiale in un avamposto al confine tra Armenia e Azerbaijan, è stato scioccante. Il ministero della Difesa ha dichiarato che il tenente Artak Nazaryan, militare di carriera trentenne, si era suicidato. La famiglia del soldato, tuttavia, ha respinto con forza questa versione. La causa della morte, dicono, sarebbe da ricercare all'interno dello stesso esercito armeno.

Secondo la famiglia, il corpo di Nazaryan era coperto di ferite, subite solo poche ore prima che il loro congiunto – secondo la versione ufficiale – si fosse sparato. “Credeva in Dio e sapeva che il suicidio è un grave peccato”, ha dichiarato la madre a Radio Free Europe. “Se si è trattato di un suicidio, immaginatevi quante sofferenze e umiliazioni gli sono state inferte prima di ricorrere a quel gesto”, ha aggiunto la sorella.

All'inizio di agosto, quattro commilitoni di Nazaryan sono stati arrestati e il ministero della Difesa ha avviato un'indagine. Secondo una dichiarazione ufficiale, uno dei quattro, il capitano Hakob Manukyan, è sospettato di aver inflitto ferite corporali e di aver umiliato Nazaryan “con gravi conseguenze”.

Mentre i familiari di Nazaryan hanno espresso dubbi sull'imparzialità dell'inchiesta condotta, in Nagorno Karabakh si è verificato un incidente ancora più drammatico e inatteso. Sei soldati sono morti a seguito di una folle sparatoria avvenuta sulla prima linea. Secondo Artur Sakunts, attivista per i diritti umani, il responsabile della sparatoria sarebbe un soldato armeno. Sakunts ha riferito che un ufficiale e un sergente avevano umiliato un giovane coscritto dopo averlo trovato addormentato nella sua postazione. Un'altra recluta, Karo Ayvazyan, ha allora sparato ai due ufficiali e a tre altri soldati che erano accorsi sul posto, prima di suicidarsi. L'incidente sarebbe avvenuto solo un giorno dopo la morte di Nazarayan.

Malgrado le condizioni di vita nell'esercito armeno siano migliorate dall'inizio degli anni '90, il nonnismo rimane un problema serio e le morti fuori dal combattimento rappresentano ancora una grave preoccupazione. Due anni fa il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha affermato di non credere nell'imparzialità delle inchieste condotte su tali incidenti, parlando di manomissione delle prove. Solo nel corso del 2009 sono 18 i soldati morti durante il servizio militare, per incidenti avvenuti fuori dai combattimenti.

Secondo i critici, gli ultimi incidenti hanno evidenziato problemi seri all'interno di un esercito afflitto dalla corruzione e da violazioni dei diritti umani. In effetti, le bustarelle per evitare l'arruolamento o per svolgere il servizio di leva in luoghi tranquilli sono una pratica piuttosto comune. I due eventi, in ogni caso, hanno causato un putiferio nel Paese, confermando inoltre la presenza di soldati armeni in Nagorno Karabakh, una circostanza negata da Yerevan ma nota alla maggior parte della popolazione. “Di solito i ricchi fanno il servizio militare in Armenia, mentre i poveri vengono mandati in Karabakh”, ha dichiarato Harutyunyan, soldato armeno fuggito in Azerbaijan.


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Cl.Ri.